Il pericolo è il Führerprinzip

Il rischio di cui si parlava all’indomani del decreto “tutti a casa” si sta rivelando in maniera sempre più evidente. Si tratta del rischio che l’emergenza imposta dal coronavirus provochi una deriva autoritaria talmente marcata da provocare lo stravolgimento dello stato di diritto e della democrazia liberale del nostro Paese.

Il professor Mario Monti ha scritto sul Corriere della Sera, il giornale milanese che seguendo la propria tradizione si è subito messo al servizio del nuovo corso in atto in Italia, che la crisi in corso è destinata ad aprire ampi varchi nella selva dei pregiudizi reciproci che in tempi ordinari paralizzano le decisioni in sistemi complessi come l’Unione europea. Da tali varchi, a parere dell’ex Presidente del Consiglio scelto a suo tempo dall’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sulla base del gradimento manifestato dai governi dell’asse franco-tedesco che governava e governa la Ue, starebbero passando alcune indicazioni destinate ad incidere significativamente sulla vita politica e sociale del nostro Paese e del Vecchio Continente quando l’emergenza sarà finalmente esaurita. La prima di queste indicazioni, sempre secondo Monti, è la riscoperta di quelle virtù civiche la cui assenza ha sempre segnato la nostra storia nazionale. La seconda, sempre secondo il professore, sarebbe la scoperta del senso dello Stato da parte di un popolo che non ne ha mai avuto abbastanza e la consapevolezza che dalle difficoltà si esce solo se questo benedetto Stato, sorretto dal consenso popolare, esiste, funziona ed è capace di utilizzare al meglio i soldi delle nostre tasse per risolvere i grandi problemi. La terza indicazione riguarderebbe invece la scoperta che il senso di appartenenza non è affatto assente, ma si ripresenta ogni volta che gli italiani scoprono che vale la pena battersi per obiettivi comuni mentre la quarta, più importante di tutti, andrebbe indentificata nella constatazione che il popolo italiano starebbe rivalutando la “grande solidarietà che passa per lo Stato alimentata dal sistema fiscale e realizzata dalle politiche sociali”.

Si potrebbe discutere sull’effettiva esistenza di ognuna di queste indicazioni se non fosse che tutte quelle indicate da Monti sono indirizzate a dimostrare che il dramma del coronavirus serve non solo a riplasmare in chiave virtuosa la coscienza civile e politica di un Paese, ma a rendere evidente che in società complesse come la nostra l’unica speranza di sopravvivenza, di crescita e di superamento delle difficoltà spinge nella direzione del principio “più Stato per tutti” e dalla cancellazione di quei presunti pregiudizi secondo cui l’eccesso di presenza dello Stato limita le libertà dei cittadini e non riesce neppure a produrre quei risultati che un tale eccesso di presenza vorrebbe assicurare.

Ciò che va contestato all’ex Presidente del Consiglio ed a tutti quelli che la pensano come lui è proprio la totale fallibilità della tesi secondo cui l’unica e sola formula per uscire dalla crisi sarebbe costituita da una ennesima e massiccia dose di statalismo all’interno dei sistemi di democrazia rappresentativa presenti in Italia e nel resto dei Paesi europei ed occidentali.

Ma in cosa dovrebbe consistere questa dose di statalismo? Monti ha proposto l’emissione di un prestito nazionale a sostegno del sistema sanitario messo praticamente in ginocchio dall’incalzare della pandemia. Una ricetta già usata nei periodi in cui l’Italia si è ritrovata impegnata nelle guerre mondiali. Che, secondo l’ex Premier, potrebbe aumentare la probabilità di non ricorrere a misure straordinarie come la patrimoniale quando sorgerà il problema di come finanziare la ricostruzione da realizzare dopo la catastrofe attuale. Ma che riguarda solo un aspetto marginale e non decisivo del problema complesso posto dalla credenza secondo la quale il futuro si assicura solo rifugiandosi nello Stato ed affidandosi ciecamente alle sue strutture ed a chi le gestisce.

Questa illusione ha già prodotto abbondanti disastri nel corso del secolo scorso. Dalle crisi del passato sono sempre nate le soluzioni totalitarie che hanno prodotto a loro volta altre e più gravi crisi. E proprio sulla base di queste esperienze si deve stare in guardia contro i propalatori di ricette che una volta applicate potrebbero stravolgere profondamente il sistema di vita del mondo occidentale.

Nessuno, ovviamente, nega l’assoluta necessità di uno Stato funzionante. Ma quello ossessivo ed onnipresente che emerge dall’applicazione dei decreti contraddittori ma comunque draconiani del Governo Conte-bis non è affatto funzionante. Sempre che non si voglia misurare il grado di efficienza dal numero delle multe che gli agenti di polizia erogano giornalmente a quanti vengono colti in strada e nelle piazze senza la indispensabile autogiustificazione. Se questo è lo Stato a cui Monti propone di affidarsi in pieno è bene dire subito che uno Stato del genere non è quello capace di risvegliare le virtù civiche degli italiani, ma è solo quello in grado di mandare in pezzi la nostra democrazia liberale in nome di concezioni ideologiche di stampo nazi-maoista che si sperava fossero state ormai cancellate dalla storia.

Monti insista pure nella sua proposta di prestito nazionale con i Buoni per la salute pubblica. Ma tenga presente che dalla crisi non si esce con soluzioni autoritarie ma solo con la consapevolezza che l’eccesso di Stato provoca più guai di quelli che vorrebbe risolvere. Fino ad oggi l’unica indicazione forte che emerge dallo stato d’emergenza è quella che spinge la gente ad affidarsi acriticamente all’azione del Capo, sia esso il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Se questo è il vero segnale bisogna incominciare a preoccuparsi sul serio. Altro che prestito nazionale. La vera emergenza è il rischio di uscire dalla crisi con qualche grillo parlante che invochi l’introduzione del Führerprinzip nella Costituzione Repubblicana!

Aggiornato il 16 marzo 2020 alle ore 11:13