I dati che emergono dall’ultimo sondaggio che ha mostrato Bianca Berlinguer sono interessanti per vari motivi. Motivi ovviamente politici, sia esterni ai poli che interni.
Il dato più significativo nel centrodestra è la costante crescita di Giorgia Meloni che, almeno fino a prima del sondaggio, sembrava arricchirsi di consensi a scapito della Lega ma che ora, con Matteo Salvini non più in (leggera) discesa, pare giovarsi, soprattutto, della stasi di Forza Italia, che conferma la crisi di un movimento in cui il suo leader non riesce o non vuole dare segni di mobilità per ragioni che spesso sfuggono ai più.
Un dato non da sondaggio ma da osservazione del day-by-day politico vale la pena di rilevare e attiene alla personalità sia di Matteo Salvini che di Giorgia Meloni, laddove il consenso di quest’ultima è in salita mentre quello salviniano è praticamente fermo, nonostante i toni sempre alti del leader leghista contrapposti alla “forza tranquilla” meloniana. E sta proprio in questo una differenza destinata a crescere in vista di elezioni, non più anticipate, ma Regionali.
La non brillante situazione dei pentastellati non è di oggi ed è probabile che non possa migliorare anche se, a detta di certi osservatori, il loro prossimo congresso, definito pomposamente “Stati generali”, non debba rappresentare delle novità o delle svolte ritenute comunque di difficile attuazione per un movimento la cui ragion d’essere, oppositoria tout court, mal si concilia col loro ruolo governativo.
Un Governo, peraltro, nel quale il Movimento 5 Stelle ha saputo immettere forti dosi di un giustizialismo, impersonato dal ministro Alfonso Bonafede, che ha contagiato, come un virus, un Partito Democratico sempre più obbediente ai suoi segnali testimoniati dall’approvazione di leggi e iniziative, a cominciare dalla prescrizione, che confermano una sorta di svolta a sinistra di Nicola Zingaretti allo scopo sia di catturare dei consensi persi dal M5S, sia in relazione alla scissione renziana che lo ha inevitabilmente spostato più a gauche.
Ma il dato più degno di nota derivante dal sondaggio sta nei consensi, in discesa, di Matteo Renzi, fermo al 3 per cento. Intendiamoci: Renzi può certamente crescere in vista, anche lui, degli appuntamenti elettorali dove i voti si contano nelle urne. Ma il significato vero del suo mancato decollo risiede nella doppiezza di un ruolo consentitogli dall’essere determinante in questa maggioranza, donde i balzi e gli sbalzi di un dentro e fuori che non può, per sua natura, rappresentare una politica, tanto più che le note del renzismo suonano forti negli attacchi a Giuseppe Conte, ma non bastano a definire un progetto per ora, ma soprattutto per il dopo che comporta necessariamente quello che i latini, sempre saggi, chiamavano l’ubi consistam indispensabile ad una visione, ad un programma, ad un progetto, appunto.
Insomma, o dentro o fuori. Questo è il (suo) problema.
Aggiornato il 28 febbraio 2020 alle ore 10:39