Emilia-Romagna: anatomia di una vittoria

In politica le vittorie elettorali hanno molti padri mentre le sconfitte sono figlie orfane di madri vedove. La tornata delle Regionali in Emilia-Romagna non fa eccezione alla regola. È dalla notte di domenica che si affastellano nel circuito mediatico verdetti pontificali dispensati con generosità da “autorevoli” opinionisti stabilmente accampati nei salotti televisivi. Si fanno le più strampalate congetture sulle cause della vittoria di Stefano Bonaccini e altrettante circa le sorti del nemico mortale Matteo Salvini, che sul terreno ostile dell’Emilia-Romagna avrebbe combattuto per interposta persona, la malcapitata Lucia Borgonzoni, l’ordalia sul destino del Paese. Ovvio che si tratti dell’ennesima favola raccontata da “esperti” interessati più a darsi ragione che a ricercare la verità. D’altro canto, i giudizi degli opinionisti della politica, parafrasando William Shakespeare, sono fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni. La realtà è altra cosa.

Ora, la vox mediatica attribuisce alle “Sardine” un ruolo salvifico rispetto all’inedia che stava paralizzando il corpaccione sclerotizzato della sinistra, anche nella sua storica roccaforte. L’aria nuova, la voce fresca della gioventù, il popolo sano che si ritrova per respingere l’onda dell’odio e del razzismo incarnata da Matteo Salvini sono argomentazioni entrate di diritto nella narrazione zingarettiana della vittoria emiliano-romagnola, ma non sono esaustive. Verosimilmente, il ruolo delle “Sardine” va ridimensionato a mero pungolo per una certa sinistra borghese, poco incline a lasciarsi trascinare nelle contese della politica.

Come siano andate realmente le cose lo spiega bene un’analisi di dettaglio sui flussi elettorali pubblicata dall’Istituto Cattaneo. Bonaccini ha vinto perché ha intercettato il grosso dei voti andati ai Cinque Stelle nelle ultime tornate elettorali. Gli analisti del Cattaneo hanno concentrato il focus su 4 città campione: Forlì, Ferrara, Parma, Ravenna. Ovunque si riscontra che “molti elettori pentastellati (il 71,5% a Forlì, il 62,7% a Parma, il 48,1% a Ferrara) hanno scelto la candidatura di Bonaccini e solo una minoranza ha deciso di optare per il candidato del M5s (Simone Benini) o per il centrodestra di Borgonzoni”.

Mediamente non c’è stato il riflusso nell’astensionismo degli elettori pentastellati, come al contrario è capitato al centrodestra negli anni della crisi di consensi. Gli esperti valutano in misura residuale, mediamente non superiore al 5 per cento, il numero di coloro che avendo votato in passato Cinque Stelle in questa tornata siano rimasti a casa. Altro apporto significativo il candidato Bonaccini l’ha ricevuto dall’area collocata alla sinistra del Partito Democratico.

Di là dalla rilevazione scientifica anche una constatazione di natura empirica sui voti ai candidati della galassia radicale conferma lo spostamento. I media ne hanno parlato poco ma gli zero-virgola rimediati dalle liste di “L’altra Emilia-Romagna”, Potere al popolo e del Partito Comunista, in una terra di forte radicamento degli ideali marxisti, testimoniano del soccorso rosso per il voto utile scattato tra i “compagni” come riflesso pavloviano al rischio concreto di una vittoria delle odiate destre. Ma in favore di Bonaccini è intervenuto anche uno sleale aiutino dall’altro campo. Lo dicono i numeri della candidata Borgonzoni: il suo 43,63 per cento è sotto dell’1,78 per cento rispetto alla somma dei voti di lista della coalizione della destra plurale (45,41%). Ciò significa che una porzione di elettori, pur vergando il simbolo di un partito di destra, abbiano dato la preferenza al candidato Bonaccini grazie alla possibilità del voto disgiunto. Non vi sono pistole fumanti che smascherano i responsabili di comportamenti scorretti sebbene alcuni ambienti di Forza Italia, che non volevano una vittoria di Matteo Salvini, siano fortemente indiziati. Ma questa è un’altra storia, di cui toccherà parlare a lungo.

Sui flussi in favore di Bonaccini, prendendo per buone le conclusioni degli esperti del Cattaneo, continuiamo a pensare che la mobilitazione del popolo dei fighetti della buona borghesia innervati dal livore mai sopito verso la destra delle vecchie ciabatte girotondine riesumate dagli anni Novanta del Novecento, abbiano sì smosso l’aria stagnante nella sinistra, ma non più del dovuto. Lo hanno fatto nelle grandi città opulente dell’Emilia, dove il sistema di potere della sinistra non ha mai mollato la presa sulle casse pubbliche. Viene difficile immaginare che i “fighetti” abbiano fatto breccia nei cuori dei “montanari“ dell’Appennino, gente tosta, abituata al lavoro duro, superstiti di un processo di spopolamento che ha cominciato a colpire il territorio già dagli anni Cinquanta e Sessanta dello scorso secolo. I figli e i nipoti delle vittime di quello che Giuseppe Dossetti definì “il sacrificio castale” a proposito delle stragi naziste compiute nella zona non avevano bisogno della sveglia delle “Sardine” per ricordarsi di essere stati la spina dorsale della sinistra comunista. Che poi adesso qualcuno nel Pd pensi di esportare il fenomeno ittico altrove nel Paese appare un’ingenuità da avventuristi della politica. Ne abbiamo la prova.

Se realmente le “Sardine” fossero state la novità del panorama italiano perché non hanno funzionato in Calabria allo stesso modo nel quale avrebbero prodotto risultato in Emilia-Romagna? Eppure, a fare caciara nel Comune-bandiera del multiculturalismo: la Riace di Mimmo Lucano, sono accorsi numerosi “pescetti”. Peccato che gli elettori locali non ne abbiano tenuto conto visto che hanno lasciato al palo il candidato della sinistra, Filippo Callipo (21,34%) contro la candidata della destra plurale, Jole Santelli, volata al 53 per cento e abbiano concesso la palma di primo partito proprio alla Lega. Il discorso sulle “sardine” lo abbiamo tirato in ballo perché è forte la preoccupazione che la destra, particolarmente vocata ad analisi auto-demolitorie, si metta a rincorrere falsi obiettivi perdendo di vista il bersaglio reale che resta la complicata gestione della massa di consensi in uscita definitiva dall’area grillina. Già, perché il problema per il futuro elettorale della destra plurale non sarà la sarabanda di qualche piazza trasformata in acquario ma l’insidioso travaso della delusione dal grillismo nell’illusione normalizzatrice della sinistra presentabile e politicamente corretta. Guardare per credere le acrobazie con scappellamento a sinistra del saltafossi Giuseppe Conte.

Aggiornato il 28 gennaio 2020 alle ore 10:37