
Il caso Gregoretti è già davanti alla Giunta per le immunità parlamentari. Il voto sul ministro degli interni di allora, Matteo Salvini, è previsto per il 20 gennaio del 2020. Il Tribunale dei ministri di Catania ha sostenuto e sostiene che il cosiddetto Decreto Sicurezza-bis non riguarda le unità militari come la Gregoretti. E come la Diciotti, chiamata in causa proprio da Salvini a propria difesa visto che in quel caso scattò per lui l’immunità parlamentare.
A sentire Luigi Di Maio – che allora era per dir così amico di Salvini – il caso è chiaro nel senso che “la questione Gregoretti non è come la questione Diciotti. Quest’ultima fu una decisione del Governo. La Gregoretti fu propaganda”. E non a caso – aggiunge l’attuale ministro degli Affari esteri, sempre con riferimento a Salvini – lo vedo un po’ impaurito, ma ognuno si deve prendere le proprie responsabilità”(sic!). In questo breve giro di frasi – in cui l’ex ministro degli Interni ha risposto, circa Di Maio, con un secco: “Un piccolo uomo!” – sta la questione e i connessi problemi salviniani.
Magistratura e politica, specialmente il Movimento 5 Stelle, si sono saldati per un abbraccio denso di insidie per un Matteo Salvini che non ha mai smesso in questi giorni non solo e non tanto, come era ed è ovvio, di difendere una sua scelta, ma accompagnandola con le frasi del suo repertorio: sempre all’attacco e sempre impostato sulle tonalità che definire dell’uomo forte sarebbe forse eccessivo ma rende l’idea.
Naturalmente, in molte delle prese di posizione di media e politici, il tasto preferito e più premuto attiene alla liceità di quella scelta – a proposito degli sbarchi e sullo sfondo di un’emergenza che già ai tempi di Marco Minniti era affrontata sia pure con diversi toni e misure – e non v’è dubbio che quella decisione rientrava non solo nelle competenze ma nei poteri dell’allora ministro e che, secondo lui, non era affatto sconosciuta al Presidente del Consiglio che oggi, tuttavia sempre come Premier, la dichiara non iscritta agli atti mostrando, come il collega Di Maio, di abbandonare Salvini al proprio destino e lavandosene le mani.
Il punto più importante della questione, tuttavia, è un altro e riguarda né più né meno che la progressiva occupazione di spazi politici di una certa magistratura che sembra rinverdire la stagione di quel manipulitismo che, grazie anche all’appoggio e al clamore mediatico, ha spazzato via un’intera classe politica.
I rischi che corre il leader della Lega riguardano dunque una sorta di doppio binario che, per l’occasione, si unifica giacché, per l’occasione, governo e magistratura procedono di comune accordo rivelando, se mai ce ne fosse ancora bisogno, la natura più vera del movimento grillino: giustizialista, negatore per principio di garantismo verso gli altri (ma non per se stessi), antipolitico e antipartitico.
Come è noto, l’atteggiamento salviniano quando si trattò del primo blocco dei porti, partì con uno slancio di lotta – con una particolare attenzione alla propaganda in cui Salvini è maestro – mostrando, come si dice, il petto orgoglioso seguito da un involontario ma profetico “mi farò processare!”, cui una non disattenta politicamente ed esperta giuridicamente Giulia Bongiorno replicò con un richiamo amichevole, quasi affettuoso, ad una maggiore prudenza. Può darsi che l’onorevole Bongiorno non sia molto a conoscenza della vera natura dei pentastallati, ma è del tutto certo che conosca fin nelle pieghe della professione e del “potere”, una tipologia diffusa nella nostra magistratura che è pronta, prontissima, ad aprire e spalancare la via giudiziaria a un politico, sia pure autorevole come Salvini, pur non ignorando i passaggi obbligati per via dell’immunità parlamentare ma, specialmente, ribadendo a chiare lettere e non meno chiari avvisi di garanzia, che la legge è uguale per tutti, anche, se non soprattutto, per un ministro degli Interni che ha preso decisioni e scelte che attengono il suo ruolo, la sua funzione, la sua “mission” derivante dalla libera scelta di elettori che l’hanno preferito ad altri candidati, mandandolo in Parlamento e da qui al Governo dove ha preso decisioni non solo in nome e per conto di chi l’ha votato ma proprio perché rappresentante di quella politica che l’autorizza ad assumere decisioni in suo nome.
Ma se lo spazio della Polis si restringe come sta accadendo e non da ora e con la complicità di una cospicua parte dei governanti, sarà non poco arduo compiere scelte. Delegate ad altri poteri, per di più non eletti.
Aggiornato il 23 dicembre 2019 alle ore 12:40