
Il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) è da qualche giorno entrato nel linguaggio comune quotidiano. Ovunque se ne sente parlare da quando è saltato fuori che è in corso di finalizzazione una riforma a riguardo. Fa piacere. Quel che sorprende è che quando il trattato nel 2012 fu istituito, in Italia l’approvazione della relativa legge di ratifica è passata completamente in sordina. Ed è proprio in quel trattato che sono contenuti i principali meccanismi diabolici di interdipendenza finanziaria di cui tanto si discute oggi.
Innanzitutto il testo. Oggi tutti ne discettano, ma è incomprensibile anche a laureati alla “Bocconi” con il massimo dei voti. Solo menti sopraffine e davvero fuori dal comune quali Jean-Claude Juncker e stretto cerchio di collaboratori potevano partorire un documento talmente complesso che all’insaputa di tutti ha istituito un nuovo organismo internazionale, il Mes, con prerogative giuridiche e diplomatiche proprie di omologhi apparati e con possibilità di imporre scelte di politica macroeconomica a ciascun Paese membro.
La difficoltà nel comprendere il testo istitutivo sta nei numeri. Prendiamo ad esempio l’iter di approvazione nel nostro Paese. Il trattato è stato ratificato dal Parlamento italiano durante la sedicesima legislatura (2008-2013), il 23 luglio 2012, Governo Monti, ma ciò non rileva, la negoziazione era iniziata ben prima. La lettura finale è avvenuta alla Camera dei deputati, ove il disegno di legge era giunto dal Senato il 13 luglio, quindi da pochi giorni.
Strano, perché talvolta per una legge di modifica al codice della strada l’iter parlamentare richiede mesi di discussioni e di rinvii da un ramo del Parlamento all’altro!
In questo caso, invece, leggendo gli atti parlamentari del tempo si nota che un testo cosi complesso dopo un rapido passaggio in Commissione esteri, pilota per le autorizzazioni alla ratifica dei trattati, è stato discusso e votato in Assemblea in mezza mattinata: quel giorno, il 23 luglio, su 414 presenti hanno votato a favore, probabilmente senza aver ben metabolizzato l’atto di cui si discuteva, 325 deputati, 53 contro e 36 astenuti. Quindi tutto l’arco parlamentare, a prescindere dalla maggioranza del tempo costituita da Forza Italia e Lega.
Lo stesso era avvenuto pochi giorni prima al Senato, ove il 12 luglio su 261 senatori presenti solo 24 si erano dichiarati contrari e 21 si erano astenuti.
Dichiarazioni di voto poche e limitate all’essenziale, incentrate più su aspetti quali l’immunità giuridica prevista per gli appartenenti al club o ai denari da esborsare per entrarvi che ai complessi meccanismi definiti “di stabilizzazione”.
Già il testo del 2012, infatti, recava quei meccanismi “di stabilizzazione” e sarebbe dovuto essere chiaro che un Paese in difficoltà per ricevere l’aiuto doveva accettare un piano di riforme ben sorvegliate dalla famigerata “Troika”, comitato costituito da Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale. Riforme che per rimettere i conti a posto solitamente richiedono misure non proprio popolari come la flessibilizzazione delle leggi sul lavoro o il taglio alla spesa pubblica, agli stipendi e alle pensioni. Ne sanno qualcosa Grecia, Cipro, Portogallo e Irlanda che hanno fatto ricorso al meccanismo.
Ora siamo alla riforma resasi necessaria dalle critiche circolanti da tempo tra chi ritiene che il Mes imponga regole troppo draconiane a chi richiede un aiuto e chi, invece, muove l’accusa opposta, quella di dare troppo a quei Paesi che spendono più di quello che possono, sapendo di essere, comunque, salvati.
La sintesi delle due posizioni non è di facile lettura. Di fronte a passaggi come “i titoli del debito pubblico dei Paesi dell’area Euro dal 2022 dovranno avere non più una clausola di azione collettiva (Cac) a maggioranza doppia ma singola...” è chiaro che i pochi che l’hanno capita possono girarcela come vogliono in un dibattito infinito.
Perlomeno questa volta il provvedimento in Parlamento non sarà liquidato in mezza giornata!
Aggiornato il 30 novembre 2019 alle ore 13:12