Quando si scrive che le elezioni politiche saranno a scadenza naturale (2023) per il semplice motivo che a nessuno dei protagonisti della Polis, salvo Salvini & Meloni, conviene anticiparne la data, non tiene conto che la situazione politica è cambiata e continuerà a cambiare, sia per la sconfitta clamorosa della maggioranza in Umbria, sia per la vittoria del centrodestra, sia per l’arrivo di un nuovo soggetto (Matteo Renzi) nell’arena. Tre fatti che interagiscono e che in situazioni normali lascerebbero scorrere l’attività governativa, al massimo con qualche attacco più duro o, dipende, con qualche puntura di spillo senza una chiamata anticipata alle urne.
Il punto dolente, oggi, sta nel cuore del cuore dei reggitori governativi, ovvero all’interno del Movimento 5 Stelle e del Partito Democratico. A proposito dei pentastellati il nostro giornale, a cominciare dal direttore, ha sviscerato non soltanto i perché di una sconfitta ma anche e soprattutto le ragioni intrinseche della volatilità di un elettorato che tende inesorabilmente ad una vera e propria residuale testimonianza.
I perché della sconfitta di Nicola Zingaretti iniziano innanzitutto dalla mancata consapevolezza del clamoroso voltafaccia dell’Umbria (sinistrorsa da sempre) e ben al di là degli scandali della precedente giunta mandata a casa proprio dai grillini, invasati dall’acrimonia urlata contro un Pd emblema della partitocrazia corrotta e inemendabile, da sradicare in toto, distruggendo la politica stessa e le sue ragioni, a cominciare dai partiti che la rappresentano.
Già nella mancata risposta del Pd a questo devastante cupio dissolvi sta uno dei motivi di fondo della dissolvenza del più vero modus operandi degli eredi di Berlinguer, Napolitano, Macaluso ecc. e gli eventi successivi lo testimoniano nell’avervi posto un rimedio peggiore del male stesso, ovvero strutturando con il M5S un’alleanza, sia di governo che regionale, che non poteva non dare frutti velenosi. Una consapevolezza, insomma, che lungi dall’imporre una severa diagnosi, la si sta liquidando con l’accontentarsi dell’aver mantenuto nella verde Umbria il proprio zoccolo duro che, tra l’altro, non pare così trattenuto.
Chi si contenta gode, si vorrebbe dire, se non fosse che questa sconfitta è figlia e nipote di errori lontani e vicini che sarebbe fin troppo facile enumerare ma che per Zingaretti e compagni parrebbero come appartenere ad una logica per dir così comune a tanti partiti, a cominciare dai grillini loro alleati, quando, al contrario, quegli errori derivano soprattutto da uno smarrimento, da una irrefrenabile diminuzione, dalla perdita della qualità indispensabile ad agni partito, ovvero l’identità. Un partito senza personalità è non solo un partito qualunque, ma non ha alcuna forza e alcuna ragione che ne assicurino una qualche duratura possibilità di un’efficace presenza in un tessuto sociale complesso come il nostro, tanto più in momenti di assunzione di responsabilità di governo nel qual caso è utile solo alla bisogna di piccoli cabotaggi quando non è suggestionato da scelte altrui condividendole senza discutere.
Il caso del Pd di Zingaretti, anzi i casi di essere al traino grillino, sono sintomatici e significativi sol che si pensi al “caso” giustizia in cui la condivisione della sciagurata scelta a proposito della prescrizione indica la sopravvivenza attiva di un giustizialismo populista e demagogico sullo sfondo di altre decisioni impostate su versanti diversi eppure comuni in una visione tardo statalista cara agli epigoni di una criptoideologia, di cui la decisione sul reddito di cittadinanza conclamato da Luigi Di Maio come una svolta epocale, sta provocando pesanti guasti tant’è vero che un governatore dem come De Luca l’ha definito né più né meno che un “processo di corruzione di massa, per non fare niente”. Insomma, è un pagare(dallo stato) per non fare niente.
Per non parlare della riduzione dei parlamentari, sventolata come una svolta, anche questa epocale, senza alcuna visione d’insieme, priva di qualsiasi sistemazione costituzionale. È stata pedissequamente approvata dai consensi plaudenti di un Pd nel quale gli eterni sorrisetti di un pacioso Zingaretti, che ha fatto proprio il detto antico “tutto va bene madama la marchesa”, ne rivelano, a ben vedere, una chiusura a riccio, un autoisolamento in una sorta di paradiso perduto in cui tra l’altro sono assenti luoghi, vuoi di congressi pressoché obbligatori, vuoi di occasioni di dibattito, di confronto, di scambi di idee, necessari per apporti nuovi, per un rinnovamento ab imis.
E, a proposito di identità perduta, non sarà facile ritrovarla neppure in quella Emilia-Romagna che ne è stata, a suo modo e tempo, l’espressione.
Aggiornato il 31 ottobre 2019 alle ore 11:32