Zingaretti-Di Maio: la paura e il naufragio

La trattativa per la creazione del Governo tra Cinque Stelle e Partito Democratico avanza a grandi passi. Cadute le flebili resistenze del segretario Nicola Zingaretti sull’opportunità di stare in un Esecutivo guidato da quel Giuseppe Conte già distintosi da cappellano officiante le nozze tra grillini e leghisti appena quattordici mesi orsono, la strada della spartizione del potere appare spianata. Siamo alla normalizzazione dopo la parentesi “sturm und drang” del barbaro Matteo Salvini in lotta contro tutti. Contro la volontà di potenza di Francia e Germania; contro i poteri forti di Bruxelles e quelli marci dell’establishment italiano.

Con la scoloritura del blu dalla bandiera della maggioranza, prontamente sostituito da un tono di fucsia che ben si sposa con l’odierna natura dei “dem”, non più veracemente rossi da un bel pezzo, se ne va la speranza di un’Italia più consapevole della sua dignità, capace di stare sulle proprie gambe sulla scena internazionale. Se ne va l’Italia che difende i confini dagli assalti, camuffati da naufragi, degli immigrati illegali. Se ne va l’Italia del recupero delle tradizioni, della famiglia naturale, del corretto rapporto tra le generazioni. Torna, invece, la pestilenza multiculturalista con i suoi veleni pseudopacifisti.

Torna l’Italia delle porte aperte e dell’accoglienza illimitata dei migranti, con inevitabile rimessa in moto della lucrosa macchina della solidarietà a scopo di profitto. Torna la falsa Italia dello Ius soli e delle teorie gender. Torna il buonismo verso la criminalità e il cattivismo verso gli italiani che producono. Via il Decreto Sicurezza e avanti con la patrimoniale sugli immobili e sui depositi bancari. Via l’abbassamento delle tasse e avanti con i rubinetti aperti delle pubbliche prebende al Terzo settore, agli imprenditori del sociale, alle associazioni che fanno business all’ombra delle due grandi chiese: quella del Cupolone e quella, mai tramontata, delle cooperative rosse.

Lo sgusciante Zingaretti, intento in queste ore a rimangiarsi tutti i paletti immaginari che avrebbe voluto, o dovuto, porre nella trattativa con il nemico di sempre pentastellato, ha smesso di parlare di discontinuità rispetto alla pregressa esperienza giallo-blu. E fa bene, visto che quello che stanno apparecchiando è un Governo di continuità totale con il precedente, con l’unica differenza del cambio in corsa dei leghisti con i “dem”. Se discontinuità vi sarà riguarderà esclusivamente lo spirito di fermezza e di rude orgoglio sovranista impresso da Matteo Salvini nella permanenza al Viminale. Tutto il resto, in particolare quello a matrice grillina, resterà senza per questo provocare particolari intolleranze alimentari ai nuovi partner.

I “dem” sono di stomaco forte, soprattutto quando c’è da spartirsi il potere. Dal momento in cui rimetteranno piede nel Palazzo vi resteranno fino alla fine della legislatura. Litigheranno tutti i giorni con gli alleati, ma non lasceranno la stanza dei bottoni per alcun motivo al mondo. Esattamente come è accaduto la scorsa legislatura dove, seppure minoranza, hanno tirato dritto a governare per cinque anni tenendosi stretti i voti della pattuglia di “traditori” alfaniani del Nuovo centrodestra i quali, nei panni degli utili idioti, hanno offerto su un piatto d’argento ai Renzi, Gentiloni e compagni la possibilità di dettare legge fino all’ultimo minuto utile consentitogli dalle regole costituzionali.

Ci sarà un tempo per riflettere su ciò che è accaduto, sull’apparente suicidio politico al quale si sarebbe volontariamente consegnato un solitamente lucido Matteo Salvini. Ma non è questo il giorno. Consumati gli ultimi passaggi di una crisi dal finale già scritto, il centrodestra dovrà intraprendere, per l’ennesima volta, una lunga traversata del deserto prima di concedersi il riscatto nelle urne. C’è da fare un’opposizione che per essere efficace dovrà dimostrarsi durissima. Niente sconti agli autori del patto della paura. E se occorre ci si rivolga alla piazza per fare sentire la voce del Paese reale. Ci si scordi del latte versato e ci si concentri sui prossimi obiettivi che, nella situazione data, saranno strategici.

Ora c’è da pensare alle elezioni regionali in scadenza e alla tornata che si apre la prossima primavera. La vittoria nelle urne regionali consentirebbe di colpire due target: assestare bordate alla credibilità del Governo giallo-fucsia e potenziare la presenza di amministratori regionali del centrodestra sulla scena nazionale. Un quasi cappotto nei territori potrebbe riaprire i giochi per l’elezione del prossimo Presidente della Repubblica.

La costituenda maggioranza giallo-fucsia nasce su numeri risicati. Se si riguardasse il meccanismo elettorale che regola l’elezione del Presidente della Repubblica, ben si capirebbe che la partita è tutt’altro che persa, anche dopo il putsch realizzato dalla nuova coppia Di Maio-Zingaretti. È in momenti come questi che torna alla memoria l’immortale lirica ungarettiana di “Allegria di Naufragi”. “E subito riprende/il viaggio/come/dopo il naufragio/un superstite/lupo di mare”. Potremmo discutere a lungo sulla natura masochista della destra italiana. Tuttavia, alla luce di cambi di scena e di ribaltamenti della volontà popolare che si ripetono con sorprendente puntualità, in quale modo si potrebbe rappresentare la destra se non come... un superstite lupo di mare?

Aggiornato il 27 agosto 2019 alle ore 15:01