Salvini postamericano e bullismi all’italiana

Si diceva una volta e si dice ancora che senza la benedizione degli americani nessun governo italiano può andare lontano. E se ne capiscono le ragioni non soltanto storiche ma politiche ed economiche. E ora, pure finanziarie. Il retour d’Amérique di Matteo Salvini non può non portarsi dietro una conoscenza diretta non tanto di un Paese quanto dei suoi massimi governanti, data l’accoglienza da (quasi) capo di Stato riservatagli sullo sfondo sia di economie per dir così sorelle, sia di una politica estera che non può e non potrà prescindervi al di là delle simpatie salviniane per Vladimir Putin, non ignote del resto ai servizi americani.

Sul piano economico, in vista del bilancio prossimo venturo che presenterà Giuseppe Conte, i richiami di quella Ue verso la quale il salvinismo di lotta ha destinato ben più di punture di spillo, non sono eludibili nel senso e nella misura con le quali questa unità, al di là di assensi, dissensi e critiche, è ciò che si definisce uno stato di fatto per di più storico e le cui derivazioni politiche sono addirittura ovvie.

In questo senso, la necessità di connessioni intereuropee è per non pochi aspetti obbligatorio e quando un autorevole rappresentante di Forza Italia come Renato Brunetta dice coram populo (mediatico) che nel cosiddetto Vecchio Continente, ora Nuova Europa, non si vedono particolari connessioni con qualche governo, indica a un tempo un vuoto più o meno colpevole e un’assenza di alleanze-rapporti che fanno sorgere sospetti che l’ostilità politica di principio leghista nei confronti dell’Unione europea sia pronuba di uscite dalla stessa, comprendendovi la moneta unica, ovvero quell’Euro che non ha mai suscitato particolari simpatie salviniane.

La visita negli Usa rimane tuttavia una sorta di ulteriore chiave d’accesso alla politica salviniana, che in questa occasione internazionale ha mostrato un filoamericanismo sui generis anche e soprattutto ad uso e consumo di telecamere e di Facebook, com’è del resto nello stile del leader che ha proclamato “l’Italia il paese più credibile, l’alleato più solido degli Stati Uniti in Europa, visto che altri, a Berlino e a Parigi, hanno dimostrato altre idee e altre volontà”, tanto più che esiste sia un vero e proprio “strapotere franco-tedesco” sia una non meno astratta “prepotenza cinese” verso cui la lotta del governo pentaleghista è un obiettivo del quale proprio Salvini s’è voluto rendere garante con gli States.

La realtà concreta sembra tuttavia diversa e il sospetto che i voli salviniani siano meno politici e più spettacolari proprio nel significato, ovviamente attualizzato, del binomio politica-spettacolo d’antan, non può non sorgere negli osservatori più attenti anche quando, nell’assumersi (negli Usa e non solo) come difensore contro lo strapotere di cui sopra, sembra avere occhi meno attenti alle stesse aziende italiane nella competizione globale proprio mentre quelle franco-tedesche ottengono grandi risultati.

Peraltro, da chi segue non da oggi lo stesso salvinismo, le considerazioni a proposito di una sorta di bullismo (politico e mediatico) - peraltro mai nascosto dal suo stesso interprete - deriva dalle indubbie capacità politiche di Matteo Salvini nell’esercizio di un potere tout court come quello di Governo, agevolato dall’assenza sostanziale degli alleati grillini dai quali si attende invano il cosiddetto passaggio dalle parole ai fatti. Di governo.

Intendiamoci: quello che da diverse parti viene definito lo strapotere salviniano, non è frutto né del caso né della volontà ad origine del vicepresidente del Consiglio, prima nordico tutto d’un pezzo ed ora sovranista tout court, ma anche dell’assenza di un’opposizione da parte di un Pd simile, per alcuni, ad una “acquasantiera che ribolle” dove la tregua fra correnti postcongressuali è finita giacché una pacificazione non può esserci non soltanto perché il centrosinistra “è pieno di fantasmi” ma la sua eventuale capacità di iniziativa, soprattutto oppositoria, s’ingolfa e si disperde, ora nell’attesa di un renzismo a sua volta incerto fra scissioni e non scissioni, ora nei cosiddetti “scazzi” interni, via Tweet ecc., significando una speciale condizione che la figura dello stesso Nicola Zingaretti fa pensare a una sorta di sonno, sia pure condito da occhiate più a gauche ma anche più rischiose del sonno stesso, condito peraltro dalla malattia della propaganda, come si legge nel blog di Alessia Morani: “Il nuovo Pd è malato di propaganda. Salvini la fa sulla balla dei porti chiusi, loro sulla balla del partito aperto e plurale e la segreteria Zingaretti ne è la prova più palese nell’esercizio del bullismo correntizio più potente”.

Bullismo doppio. All’italiana: bulli senza pupe.

Aggiornato il 21 giugno 2019 alle ore 10:37