I magistrati li porta la cicogna? Magari!

Gira e rigira, come si diceva una volta, si torna sempre a parlare di giustizia, cioè di magistrati, di pubblici ministeri, di giudici. E a scriverne, ovviamente.

Intendiamoci, anche d’altro si parla, soprattutto in questi giorni, in un’Italia che ha un fisco non tanto o soltanto invadente – caratteristica simile in moltissimi Paesi – ma vorremmo definire onnicomprensivo nel senso e nelle modalità che da noi – e questa è invero una nostra specialità nazionale, non da ora – la sua funzione viene annualmente esercitata.

Ne parlano, proprio nelle ultime ore, sia centri studi d’alto livello sia analisti di pregio, come quelli della Cgia di Mestre che hanno definito il giorno 17 giugno né più né meno che come il “Black Monday”, ovverosia il giorno “peggiore” perché il Fisco si attende di ricevere da privati, famiglie e imprese ben 32,6 miliardi di euro; una vera e propria stangata da incubo dovuta bensì alla funzione fiscale storica in sé, ma anche e in larga misura alle modalità di pagamento perché: “Oltre ad avere una pressione fiscale tra le più alte d’Europa, in Italia è estremamente difficile pagare le tasse (sic!). La complessità e la farraginosità del nostro sistema tributario spesso mette in serie difficoltà non solo i soggetti al pagamento delle tasse, ma persino gli addetti ai lavori, come i commercialisti, i fiscalisti, coloro che, insomma, devono assistere soggetti, società, industrie, complessi, ecc.”.

Così l’ufficio studi della Cgia mestrina che diventa, volente o nolente, una sorta di portavoce di un malcontento che sembrava ristretto (si fa per dire) ai contribuenti, ma che sta addirittura a monte. Si sente, da decenni, l’impegno di ogni Governo – di Prima, Seconda e Terza Repubblica, fra poco la Quarta – forte, preciso e immediato per una riforma ad hoc e, ligi come siamo ai doveri di ascolto, l’augurio è che anche questo Esecutivo definito, forse un po’ incautamente, del “nuovo che avanza” da fans, estimatori e media amici, proceda, se non ad una riforma vera e propria, almeno ad interventi che diano una risposta alle difficoltà denunciate dal centro studi di cui sopra. En attendant, come si dice Oltralpe.

Il fatto è che, come dicevamo all’esordio e come spesso ricordano sia il nostro giornale che non pochi osservatori, a fianco se non superiore (come funzione storica) del Fisco, troviamo la Giustizia che il nuovissimo governo in carica non può e non potrà, se non riformare, certamente guardare con volontà per lo meno innovative, sullo sfondo non soltanto delle inevitabili carenze interne, ma di un affrontarsi, sempre interno, di correnti, personaggi e rappresentanti le cui dimissioni e le non poche critiche che si vanno intrecciando, sollevano una questione per dir così centrale se non addirittura essenziale per la stessa vita di una società complessa come la nostra.

Anche e soprattutto in riferimento a questo ambito (statale) e in modo particolare al Consiglio superiore della magistratura che è, di fatto, il Parlamento dei magistrati, voci di contrasti interni seguiti a dimissioni effettive e, molto probabilmente, future l’intensità delle voci e delle osservazioni esterne si intreccia con quelle nei confronti di correnti, gruppi e sottogruppi del Csm a loro volta seguite da reazioni di certuni che, proprio dalla valutazione oggettiva della funzione giudiziaria e delle sue conseguenze (do you remember the end of Prima Repubblica?) non soltanto chiedono che si faccia qualcosa da parte del ministro competente in carica, un grillino in verità assai meno loquace di prima di accedere a quell’alto incarico, ma, in casi non limitati, chiedono che venga sempre e comunque rispettata quell’indipendenza che è indispensabile per un organo del genere deprecando, spesso, certe critiche che ne rischierebbero la sopravvivenza. È quello che i maestri francesi definiscono come il déjà vu.

Certo, se non fosse che al fondo anche della situazione di questi giorni, nel suo genere ripetitiva, si gioca una partita non diversa e non lontana da qualsiasi diatriba politico-parlamentare proprio per la derivazione-composizione e dunque funzione di quel Csm, non casualmente definito il “governo-parlamentino” degli addetti alla giustizia, tant’è vero che è risuonata la frase, a suo modo emblematica, “facciamogli arrivare un messaggio”, che solo agli ipocriti sembra uscita or ora dalle bocche colpevoli, ma il cui suono e soprattutto il significato ha avuto in epoche lontane e vicine, toni ed effetti del tutto conosciuti come si addicono ad ogni interferenza.

Da ciò le polemiche politiche, le accuse, le più varie proposte per dir così innovatrici guardando, per esempio, al sistema giudiziario americano con i suoi esecutori soggetti alle elezioni, al voto, all’assenso o al dissenso della volontà popolare con repliche non del tutto improprie e proposte alternative, purché davvero risolutive, anche se dubbi, incertezze e difficoltà sono di tutta evidenza. Nel frattempo le cose stanno ferme. A meno che…

A meno che, come nelle fiabe per i bambini ci ricorda Giuliano Ferrara, si debba credere che i magistrati li porta la cicogna. E noi diciamo: magari!

Aggiornato il 20 giugno 2019 alle ore 10:37