
Non si facciano troppe illusioni i tifosi delle “urne subito”. Il tintinnar di sciabole di questi giorni non era l’annuncio di una battaglia vera ma solo movenze della danza rituale che i vincitori si concedono dopo il confronto elettorale.
Si urla, si minaccia ma la verità è che nessuno ha voglia di contarsi. Non l’hanno i potenziali perdenti e non l’hanno neppure i trionfatori in pectore. Perché pensare a una resa dei conti a stretto giro che ridisegni il quadro politico è un azzardo assoluto. Si dovrebbe votare in settembre giacché da ottobre Governo e Parlamento dovranno affrontare la manovra finanziaria. Il che vorrebbe dire scioglimento delle Camere entro i primi di luglio e contestuale avvio della campagna elettorale da svolgere con un Paese praticamente in ferie. Quali ricadute psicologiche avrebbe sugli italiani l’operato di una classe politica che ha bisogno di scomodare gli elettori sotto l’ombrellone non avendo trovato il modo di dare continuità all’azione di governo? Gli italiani non capirebbero. E perché mai dovrebbero farlo i tanti soggetti esteri che hanno il mirino puntato sull’Italia? In particolare investitori e speculatori che muovono i mercati finanziari. A competere in campagna elettorale contro le ragioni dei sovranisti vi sarebbe, in prima fila, lo spread. Con la grancassa mediatica a tutto volume a evidenziare quanto la sete di potere di Matteo Salvini pesi sulle tasche degli italiani, quali probabilità avrebbe il “Capitano” di consolidare il pur prezioso bottino elettorale del 34 per cento raccolto alle Europee lo scorso 26 maggio? Per effetto della legge elettorale vigente, velenoso lascito dell’ultimo Renzi, il Paese si ritroverebbe in una nuova legislatura più incerta e caotica dell’attuale.
C’è poi la questione delle convenienze personali che non va sottovalutata. Molti degli attuali senatori e deputati sono coscienti del fatto che, in caso di fine anticipata della legislatura, difficilmente verrebbero rieletti. Tale consapevolezza fa scattare un istintivo impulso di conservazione (dello scranno) che è connaturato all’indole umana. Come biasimarli se, nel loro piccolo, cercassero di ostacolare gli intenti bellicosi dei leader? Sarà utile osservare il grado di pressione che i parlamentari, che un tempo venivano chiamati “peones”, eserciteranno all’interno dei rispettivi partiti d’appartenenza per evitare che la legislatura si chiuda prematuramente. In particolare, bisognerà tenere d’occhio la pattuglia pentastellata alla Camera e al Senato perché è da quel versante che potrebbero arrivare le maggiori sorprese. Ad oggi il precario equilibrio trovato per tenere in piedi il Governo giallo-blu si regge sul presupposto che si votino i provvedimenti bandiera della Lega. Anche se Di Maio fosse tentato dal sottrarsi al diktat salviniano correrebbe comunque il rischio di ritrovarsi una porzione dei suoi gruppi parlamentari pronta a girargli le spalle e a votare con la Lega pur di non far cadere il Governo e, con esso, la legislatura. E il giovane capo grillino, dopo aver perduto in un colpo solo 6 milioni di elettori, non può consentirsi il lusso di perdere per strada una parte dei gruppi parlamentari, a meno che la perdita non sia in funzione di una scissione che gli rechi in dono il dominio assoluto sul fu Movimento Cinque Stelle.
Un fenomeno analogo potrebbe prodursi anche tra le fila dell’opposizione di centrodestra perché non tutti i parlamentari cosiddetti moderati se la sentono di azzardare una prova elettorale a breve, nonostante i vertici del partito cui aderiscono non facciano che invocare costantemente il ricorso alle urne anticipate. Infine, sullo sfondo, si staglia la figura del giocatore coperto che è l’inquilino del Quirinale. Sergio Mattarella guarda al quadro d’insieme della situazione non solo interna ma anche internazionale. Il presidente sa di non avere, allo stato, molte frecce al suo arco. Certamente non ha quella del Governo tecnico, visto che tutte le forze politiche in campo, forti del ricordo ancora vivido di quel costò all’Italia l’arrivo di Mario Monti a Palazzo Chigi, si sono pronunciate contro l’appoggio a soluzioni di tale tipo. Quindi, gioco forza, se cade Giuseppe Conte si torna alle urne. Ragione per la quale nessuno più del garante dell’unità nazionale sarà più cauto nel valutare l’opportunità di un voto in settembre. Perché, se gli esiti elettorali non dovessero consegnare un risultato chiaro ma si dovesse ricominciare con un faticoso negoziato per arrivare a comporre una maggioranza, vi sarebbe la certezza, non approvando in tempo la Legge di Bilancio, di portare il Paese all’esercizio provvisorio nel 2020. La prima conseguenza sarebbe lo scatto automatico delle clausole di salvaguardia prestate all’Unione europea. Tradotto, 23 miliardi di euro da drenare attraverso l’aumento dell’Iva. È dunque ipotizzabile che Mattarella pretenda dalle parti in campo che prima vengano messi in sicurezza i conti pubblici e poi, se del caso, si parlerà di verifica elettorale. Il che ci porta alla primavera del prossimo anno. Ma a quel punto saranno vicine le elezioni per il rinnovo dei Consigli regionali di alcune importanti realtà territoriali. È possibile che i partiti vogliano tastare il polso all’elettorato prima di cimentarsi nello scontro diretto, ma saremmo a ridosso dell’estate per cui per l’ipotesi di elezioni anticipate si porrebbero le medesime obiezioni sollevate adesso per questo scorcio di anno.
Tanto per azzardare un pronostico, potremmo scommettere che le urne, al momento, sono fissate a data da destinarsi, mentre più probabile, prima della pausa estiva, un rimpasto governativo reso necessario dai mutati rapporti di forza tra partner di governo. Possibile alle viste un Conte bis con un allargamento della pattuglia leghista al Governo. E la temperatura che sta salendo in queste ore? Teatrino, niente più che teatrino.
Aggiornato il 06 giugno 2019 alle ore 10:36