
Il Consiglio dei ministri ha revocato l’incarico ad Armando Siri, sottosegretario alle Infrastrutture e ai Trasporti. Caso chiuso. Temporaneamente. La componente leghista, pur ribadendo la sua ferma opposizione alla revoca di Siri, ha deciso di non staccare la spina al Governo. Luigi Di Maio canta vittoria, ma dovrebbe mostrare cautela. Non è detto che ciò che a prima vista sembri un successo, alla lunga non si trasformi nel cappio infilato attorno al collo del grillismo.
Salvini è astuto, ieri ha ceduto ma è chiaro che si prepari ad attendere l’alleato pentastellato al varco. Restituirà al socio di Governo la pariglia, con gli interessi, al prossimo avviso di garanzia ad un esponente Cinque Stelle. Al momento, il leader leghista deve parare i colpi sferrati dalle Procure, pronte a inserirsi nella partita elettorale. Sempre ieri l’opinione pubblica ha appreso che dalla Lombardia alla Calabria sono scattati provvedimenti giudiziari a carico di esponenti forzisti e “dem” e un fragoroso avviso di garanzia al presidente della Regione Lombardia, il leghista Attilio Fontana, per abuso d’ufficio. Non sarà giustizia ad orologeria, ma vi somiglia parecchio.
Di certo, la mossa delle Procure a meno di venti giorni dal voto è un favore gigantesco fatto ai Cinque Stelle che, in assenza di argomenti, possono rimontare in sella al ronzino giustizialista per riprendersi i proseliti delusi. Ad essere maligni si potrebbe sospettare che vi sia stata una precisione chirurgica nell’accelerare le inchieste in corso. I colpi di maglio caduti sia a destra, sia a sinistra seguono uno schema. Primo. Il siluro alla Lega punta a non farla lievitare nei consensi oltre un tetto che spingerebbe Salvini a tentare la strada della conclusione anticipata della legislatura. Secondo. L’azzeramento della classe dirigente lombarda del partito di Berlusconi è uno stop alle ipotesi di ricostituzione del vecchio centrodestra quale alternativa di governo alla soluzione giallo-blu. Terzo. L’accusa di associazione a delinquere rivolta al presidente della regione Calabria, il piddino Mario Oliverio, in concorso con un altro uomo forte del Pd, l’ex consigliere regionale calabro Nicola Adamo equivale al bastone infilato nell’ingranaggio “dem” nel mentre sta per concretizzarsi il sorpasso elettorale sui Cinque Stelle.
Lassù, nell’empireo di una parte di magistratura politicamente motivata, si tifa perché l’attuale assetto di Governo penta-leghista non venga compromesso dal voto per le europee e, soprattutto, perché gli equilibri di forza tra Lega e Cinque Stelle, fissati all’atto della formazione del Governo Conte, non vengano messi in discussione. Tuttavia, se è verosimile che qualche Procura sensibile al protagonismo mediatico-giudiziario sia corsa in aiuto dei Cinque Stelle in crisi, bisogna ammettere che i primi portatori d’acqua al grillismo non sono i giudici ma gli stessi partiti che dovrebbero contrastarli. Ferme tutte le garanzie costituzionali sulla presunta innocenza degli indagati, è preoccupante la frequenza con cui compaiono coinvolti in inchieste sulla corruzione esponenti di Forza Italia o del Partito Democratico. Gran bella grana per Nicola Zingaretti. Un suo governatore di regione è accusato di fatti gravissimi. Lui cosa farà? C’è il precedente del governatore “dem” della regione Umbria, Catiuscia Marini. Zingaretti ha preteso dalla compagna di partito, solo sfiorata da un’indagine sulla sanità in regione, che facesse un passo indietro rassegnando le dimissioni da presidente. Potrà riservare al calabrese Oliverio un trattamento diverso? Se lo facesse perderebbe quel poco di credibilità che ha conquistato presso il suo popolo con la vittoria al congresso. Sarà dunque un altro terremoto politico a sollecitazione endogena, scatenato in prossimità di una scadenza elettorale decisiva. Per classificare tale bizzarro fenomeno che ha iniziato a manifestarsi nel corpo vivo dei partiti dopo la tempesta di Tangentopoli, la scienza coniò un sostantivo, altamente evocativo della capacità di autoinfliggersi lesioni particolarmente dolorose: “Tafazzismo”. Stesso male che affligge Forza Italia.
In passato, abbiamo auspicato che il partito di Silvio Berlusconi trovasse in sé la forza per attuare un serio rinnovamento della classe dirigente. Soltanto chi voleva restare sordo alla crescente irritazione dell’opinione pubblica verso una forza politica schizofrenica, non ha preso atto del progressivo sdoppiamento di personalità che ha lacerato Forza Italia. Da una lato, una classe dirigente nazionale patinata ma incapace di esprimere un pensiero proprio; dall’altro, un quadro intermedio, di responsabili e protagonisti locali di partito, popolato di vecchie e giovani volpi pronte ad addentare indebite prebende e succose mazzette. La persecuzione giudiziaria subìta dal vecchio leone di Arcore non avrebbe potuto costituire la barriera allungata all’infinito dietro cui nascondere vuoti di proposta politica e nefandezze nella gestione della cosa pubblica, in particolare degli enti locali amministrati dal centrodestra. Con la raffica di arresti disposti in queste ore dal Gip del Tribunale di Milano, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, viene fuori una rappresentazione di amministratori pubblici forzisti francamente desolante. Anche il vecchio leone, pur fiaccato dal precario stato di salute, non l’ha mandata giù.
Secondo quanto riferisce l’Huffington Post, un Silvio Berlusconi stizzito avrebbe esclamato: “Bisogna stare attenti a come si seleziona la classe dirigente”. Stavolta neanche un fiato contro la magistratura, segno che il Cavaliere sospetta che i suoi l’abbiano combinata grossa e perciò non siano difendibili con le collaudate argomentazioni sulla politicizzazione della magistratura, ma che per tirarli fuori dai guai occorrano schiere di avvocati dai denti acuminati. Ora, taluni giudici e Procuratori della Repubblica dovrebbero piantarla con l’immischiarsi nella contesa politica. Ma i partiti, a loro volta, dovrebbero ripensarsi dalle fondamenta. Fin quando ciò non avverrà, ci saranno sempre tanti elettori, persone comuni, spinte a pensare che i grillini pur non essendo cime d’intelligenza almeno siano puliti. Ma l’onestà da sola non basta a rimettere in piedi il Paese. C’è comunque bisogno di buona politica.
Aggiornato il 09 maggio 2019 alle ore 10:19