
Archiviata la “Liberazione” (quella vera, del 1945) e superato il Primo Maggio inteso come Festa del Lavoro (che per i sindacati continua a non esserci) e messe un po’, ma solo un po’, da parte le non poche liturgie ritornate a premere anche in questa Seconda, pardon, Terza Repubblica, stanno arrivando le elezioni europee.
Intanto, il vicepresidente Matteo Salvini è in visita da Viktor Orbán leader dell’Ungheria e, comunque, alleato col leader leghista in una critica di fondo all’Europa che resta comunque un punto di riferimento ineludibile per la politica tout court, sia in Italia che nel Vecchio Continente.
La visita salviniana, dando per scontata l’alleanza con gli ungheresi, vuole anche essere una scommessa sul futuro e, al tempo stesso, un passo importante, uno sforzo che secondo qualche osservatore dovrebbe dare una “spallata sovranista” ai due reggitori storici, socialisti e Ppe, cioè l’asse politico su cui poggia questa Nuova Europa e nella quale il nostro Paese spicca come quello dal maggiore debito pubblico da governare da parte di una Lega che, per l’appunto, è strenua nel difendere il sovranismo che, detto così, sembrerebbe quasi alleggerire significato e importanza della sua più vera definizione: sovranità nazionale.
Il fatto, non nuovo peraltro, è rappresentato dalla vicenda Siri che sta entrando prepotentemente dentro questa non ultima liturgia elettorale non tanto o non soltanto come un episodio nel quale a un parlamentare e sottosegretario è stato inviato un avviso di garanzia (di garanzia, non di colpevolezza) quanto, piuttosto, come una sorta di risveglio della questione più questione di tutte: quella morale.
Siamo solo agli inizi, ma la tentazione di rinfocolare antichi e mai tramontati florilegi inneggianti alla super-questione, non poteva non saldarsi non solo e non tanto con le impostazioni di sempre dei pentastellati, ma con un’imminenza elettorale dalla quale sia Matteo Salvini ma soprattutto Luigi Di Maio si attendono qualcosa di più di una conferma da un voto a suo modo decisivo.
Il caso Siri non può non rientrare in quella fattispecie di vicende in cui un giustizialismo mai tramontato viene in aiuto proprio a quanti hanno fatto della politica non la questione sulla quale il libero voto di ciascun partito si confronta e si misura con le scelte altrui, ma la questione per dir così prioritaria, l’anticipo, la premessa innanzitutto etica intesa come conditio sine qua non per qualsiasi movimento.
Anche e soprattutto se alleato. E di governo. Ritorna così d’attualità quella questione morale il cui sventolio arringapopoli ne sminuisce il valore in sé, trasformandola in una bandiera mossa dal vento che spira e viene fatto spirare pro domo sua, soprattutto quando il popolo sovrano viene chiamato alle urne e non è difficile scorgervi un eccesso, un sovraccarico, un di più di strumentalizzazione ad usum delphini, cioè ad uso e consumo delle urne.
E il garantismo? Il nostro giornale ne ha sempre e per chiunque, in modo particolare per chi fa politica, difeso i principi che, proprio in quanto garanti per ciascuno di noi, assumono qualità e portata diverse in riferimento a chi si occupa della cosa pubblica, a chi governa, a chi, appunto, esercita nella Polis un ruolo di potere derivatogli dal voto, dal consenso e dalla legge che, a rischio di diventare monotoni, è uguale per tutti. E non a parole.
La vicenda giudiziaria che riguarda il sottosegretario Armando Siri viene invece trattata da non pochi, a cominciare dal M5S, come una questione diversa, più significativa, più rappresentativa e dunque più grave rispetto alla quale è necessario se non obbligatorio dare al Paese il buon esempio, offrire l’immagine di una coalizione, di un governo, di un’alleanza politica senza macchia e senza paura. Dimissioni, dunque, per dare il buon esempio. Senza neppure leggere le motivazioni della magistratura nell’atto nei confronti di Siri da cui nulla traspare né di grave né, dunque e soprattutto, di condannabile a priori, di invocarne le dimissioni, di pressioni in tal senso sia sul Presidente del Consiglio che su Salvini.
E la questione delle garanzie? Dopo. Prima, quella morale.
Aggiornato il 06 maggio 2019 alle ore 10:16