
Si legge di qua e di là che la vita (politica) per il Presidente del Consiglio è, per dir così, complicata. A volte dura. Come in questi giorni. Sono, lo sappiamo, i giorni del “Sì-Tav” “No-Tav” con il suo movimento pentastellato particolarmente sbracciato contro. Per il no.
Che può fare, dunque, un bravo inquilino messo a Palazzo Chigi proprio da Grillo-Di Maio (col consenso di Matteo Salvini, ça va sans dire) se non concordare col giudizio del no, sia pure coi toni felpati dell’avvocato per dir così in attesa di quel giudizio? E “No-Tav” sia.
Certo, come ha scritto il nostro direttore, va pure rivolto a Giuseppe Conte un pizzico di solidarietà sul piano umano sullo sfondo ben noto di incertezze e ambiguità con una risposta allineata nel solco della negazione grillina che non ha convinto comunque osservatori e politici – e non solo loro a cominciare da Silvio Berlusconi – con la ricerca da parte di Palazzo Chigi di motivazioni per dir così tecnico-economiche.
Ed ecco un’analisi costi-benefici dell’impresa (internazionale) seguita subito dopo da una conferenza stampa nella quale Conte ha bensì assicurato di non nutrirne alcun pregiudizio ideologico ed emotivo, ma dopo la suddetta analisi dovuta ad esperti, ovviamente “No-Tav”, ha concluso sulla non convenienza dell’opera, tenendo altresì d’occhio un disaccordo salviniano annunciando una necessaria “interlocuzione con i partner di questo progetto (Francia e Commissione europea) per condividere dubbi e perplessità in ordine all’analisi costi-benefici”, cui ha immediatamente risposto un soddisfatto Luigi Di Maio, volando alto: “Ringrazio il Presidente del Consiglio per le parole di responsabilità espresse sul progetto Tav. In ogni passo di questo Governo l’obiettivo è uno e sempre uno: l’interesse nazionale”.
Diciamocelo ancora una volta, almeno fra di noi: questo Governo non eccelle per le grandi cose promesse e i piccoli risultati fino ad ora ottenuti. In un quadro parlamentare nel quale leghisti e pentastellati godono di un’ampia maggioranza, sia pure venata da qualche dissenso peraltro timido e silenzioso. Il fatto “politico” è che il volare alto (altissimo) dimaiano si scontra quotidianamente con la praxis salviniana in una sorta di rilettura di un Nord versus Sud che risveglia gli antichi umori bossiani sia pure in un quadro mutato in cui, tuttavia, le mani in pasta di Matteo Salvini danno la misura di una coalizione dalla quale non poteva non emergere la filosofia di fondo pentastellata col suo “No” a tutto o quasi, in nome di un’onestà il cui obbligo è fuori discussione al di là e al di sopra dei proclami che velano a stento un sostanziale nulla di fatto.
Ovviamente, la posizione del vicepresidente Salvini ha la meglio in una situazione del genere nella quale, a ben vedere, il surplus di parole, annunci, promesse e buoni propositi sta nettamente prevalendo non tanto o non soltanto sul “diamoci da fare”, ma proprio sulle cose fatte che non hanno bisogno di severi censori per definirle poche o nulle, tant’è vero che Silvio Berlusconi vuole un Salvini premier subito dopo le Europee chiarendo comunque che “sarebbe molto meglio votare domani mattina piuttosto che tenere in piedi un Governo che gli elettori non hanno votato e che sta distruggendo l’economia, sta bloccando l’Italia isolandola in Europa e nel mondo”.
Che fare, dunque, per Giuseppe Conte? Questo è il problema. Ma lo è anche, sia pure di striscio, per lo stesso Salvini non soltanto perché le elezioni, ancorché europee, sono sempre una risposta popolare, ma anche perché riguardano il “fatto e il fare” di un Governo nel quale la Lega salvinana occupa un posto di rilievo.
Aggiornato il 11 marzo 2019 alle ore 10:57