
È davvero necessario il regionalismo differenziato? È concepito in modo da raggiungere lo scopo? Nasconde le insidie che i sostenitori negano e che i detrattori paventano?
Queste tre domande e le risposte sono intrecciate in modo tale che, almeno in me, suscitano una quarta domanda, senza risposta: perché? Quest’ultimo interrogativo lo condividono in pochi, com’è dimostrato dal fatto che, pur essendo logicamente il primo, non viene affatto posto pregiudizialmente. Eppure, gl’innamorati del nuovo regionalismo versano in una totale contraddizione con se stessi. Nel loro turbamento amoroso, pretendono la differenziazione considerando, dicono, che le regioni così come sono non funzionano al meglio e perciò hanno bisogno di più funzioni! L’assunto (l’assurdo!) è che le regioni sapranno fare meglio più cose perché alle condizioni attuali fanno male poche cose (sic!). In realtà, ad essere intellettualmente onesti, la triade che tira il carro del regionalismo differenziato la mette giù “pro domo sua” e dice: Lombardia, Veneto, Emilia sono più brave dello Stato e dunque, se levassero ad esso alcune competenze e se le pigliassero, le gestirebbero come meritano. Sembra un ragionamento che fila. Invece, no. Se un ragionamento portato all’estremo contraddice la premessa da cui parte, è comunque sbagliato. Infatti, così “ragionando”, lo sbocco logico è l’indipendenza regionale, per quanto non voluta a parole: “tanti staterelli”, è stato detto.
Il sospetto, che nei promotori dell’arlecchinismo regionalistico (come pure è stato chiamato) la differenziazione possa essere adoperata come un grimaldello per scardinare quel residuo di unità nazionale che per fortuna resiste, non è fugato proprio basandosi su certe argomentazioni adoperate dai sostenitori. Innanzi tutto, l’errore politico capitale dell’operazione (errore ancora emendabile ed in tal senso supplico la maggioranza di emendarlo), fomite di diffidenza e dubbi, consiste nell’aver omesso di farne un dibattito nazionale, redigendo e sottoponendo al Parlamento e al Paese un “libro bianco” con l’analisi precisa e documentata del “prima” e del “dopo” la riforma sia in termini istituzionali sia in termini finanziari. Al momento, tutta l’operazione sembra una mera questione tra i soggetti interessati e il governo, mentre addirittura il Parlamento sarebbe chiamato ad un muto “prendere o lasciare”.
La ministra competente, dopo aver affermato che è “del tutto corretto che su un tema di questa portata ci sia un coinvolgimento del Parlamento”, dichiara che “l’intesa non è emendabile: è lo stesso tipo di questione che esiste per i trattati internazionali o per gli accordi con le confessioni religiose” (Corriere della Sera, 16 febbraio 2019). La Regione come Stato estero o Fede, dunque? Vero è che i giuristi sono divisi a riguardo, ma un ministro non può abbracciare la tesi giuridica di comodo in “un tema di questa portata” politica! Ancora più oscuri appaiono i risvolti finanziari. La stessa ministra, precisando, confonde anziché chiarire: “Per le nuove competenze regionali si parte con la spesa storica il cui ammontare te lo trattieni dalle tasse che raccogli. Per lo Stato, saldo zero. Il determinare una spesa pubblica è lo stabilire un livello di efficienza sulla base di indici e parametri. Non è una cosa a danno di una regione piuttosto che di un’altra” (ibidem). Qualunque cosa abbia voluto dire, la ministra sembra non volersi far capire. È ammissibile la confusione mentale o espositiva in “un tema di questa portata”? E, ancora, è ammissibile che il ministro dell’economia (cioè Tesoro e Finanze) ufficialmente taccia e svicoli in “un tema di questa portata”?
Il regionalismo differenziato non può né deve realizzarsi tra ambiguità e reticenze, quando non addirittura sotterfugi, alla stregua di “res inter alios acta”, cosa loro. Riguarda tutti gl’Italiani, non solo i lombardi, i veneti, gli emiliani, e gli altri che vorranno seguirli scegliendo alla carta sulla Carta. Finora, i pochi militanti che se ne interessano, hanno cospirato per annebbiare i temi e i problemi implicati e connessi, e soprattutto i dettagli finanziari, confondendo la testa dei desiderosi di capirci qualcosa con Leu, Lep, costi standard, residui fiscali, spesa storica, eccetera.
Ultimo interrogativo: che fretta c’è? Che motivo c’è di accelerare senza ponderare il dovuto e pure di più? Dico agl’innamorati persi: “Se il vostro amore per il regionalismo differenziato è puro, onesto, sincero, benefico, non disdegnate per impazienza le perplessità sulle nozze, ma fugatele alla luce del sole, pacatamente, con argomenti inoppugnabili”.
Aggiornato il 19 febbraio 2019 alle ore 11:02