Si dice, a volte, “quello ha fatto un miracolo”, nel senso più o meno letterale del termine. E ci siamo capiti. Il fatto è che da qualche tempo in qua c’è una forza che sta al governo e che pur ampiamente (e giustamente) dipinta come nullafacente proprio in merito e in obbedienza al più vero significato del verbo fare, produce, più o meno involontariamente, ciò che nega alla radice la materialità stessa delle cose – avvenimenti – eventi umani. Non cose, ma miracoli fa e provoca il Movimento 5 Stelle.
Che dire infatti della resurrezione (politica) di Matteo Renzi in tivù se non che la sua apparizione, peraltro non breve come il discorso allegato, ha qualcosa di assai poco umano, cioè naturale, e molto più ultraterreno, cioè ultra normale, straordinario, per dire. Un silenzio, quello renziano, rotto e interrotto dalla invero speciale insistenza pentastellata nel produrre poco o niente in sede governativa, al di là del fiume di parole avvolte da un compiacimento massmediatico che le esalta proprio per la loro vaghezza nullificante dando infine luogo ad un’alternativa praticamente automatica. Non poteva che scaturirne un miracolo, ma a favore di Renzi
Intendiamoci: il renzismo narratore è stato un classico della politica dell’uomo venuto da Firenze a Palazzo Chigi cinque o sei anni fa, che ha saputo trasmetterne persino alcune emozioni, pur andando a sbattere contro il solito referendum che quasi sempre porta e comporta iella persino a chi fa il Presidente del Consiglio dei ministri nella sicurezza e nella certezza di non lasciarsi sfuggire una vittoria. E poi perde. Capita, anche perché, come ha sottolineato proprio il Renzi narrante, quasi sempre un presidente, sia pure dall’alto della sua posizione, ne è caduto in basso perdendo le elezioni. Insomma, un miracolo all’incontrario, per dirla in slang meneghino.
Miracolo numero uno. Il secondo, un miracolo sui generis, anch’esso di ispirazione pentastellata, è il ritorno del Cavaliere che ha impostato un racconto che, pur rientrando in pieno nel consueto stile pacato, suadente e sorridente ha espresso una sorta di lucida tensione nelle frequenti svolte - necessitate, sia pure a fatica, dalla volenterosa intervistatrice - nella misura e nei modi di una disamina impietosa della nullità governativa di stampo Cinque Stelle distinguendo e salvaguardando una facilitata molteplicità operativa (e anch’essa mediatica) del salvinismo governativo costretto oggi nel dualismo con Luigi Di Maio, con un occhio più che attento al leghista alleato odierno, ma, soprattutto, di domani.
Il cosiddetto punctum dolens, non certo dal racconto berlusconiano ma della non così lontana prova elettorale, è la consistenza politica di una Forza Italia nella quale non tanto o non soltanto per il pervicace, storico e per certi versi incomprensibile rifiuto di una sua struttura partitica degna di questo nome, ma per le pressioni odierne e le invadenze di domani dell’alleato leghista che tenderanno, se non ad un assalto vero e proprio, ad una probabile mungitura di consensi nel secchio del latte. Della Lega, dicono le previsioni. Anche se i miracoli, a questa politica, non sono del tutto estranei. Insomma: grazie Cinque Stelle.
Aggiornato il 19 febbraio 2019 alle ore 11:15