Sono frequenti, e lo saranno sempre di più, le domande con un “se” davanti e con risposte diverse. E le risposte? Si vedrà. È la politica, come si dice.
“Se Lega e Movimento 5 Stelle si saldano, noi faremo l’altra Italia”, afferma una ferma e sicura Mara Carfagna sullo sfondo di un panorama (a parole) che costringe a muoversi in un quadro a dir poco confuso e contradditorio senza (ma solo apparentemente) soluzioni possibili e/o facili. Omettendo il fatto, tuttavia, che nella politica - anche quella odierna del cui nome ci si fregia quasi sempre con troppa leggerezza e scarsa conoscenza della medesima - una soluzione c’è sempre.
Matteo Salvini, tanto per dire, è la prova provata dell’assunto, nella misura e nei modi con cui il leader leghista si pone davanti ai problemi, grandi e piccoli, avendo di fronte, più che a fianco, il collega “vice” pentastellato e con l’osservazione un po’ più a fondo dei comportamenti di entrambi, ne deriverebbe una sorta di preambolo da telegiornale, con una punta di fiction.
Il punto tuttavia più vero, quello sul quale si va stendendo la concordia di non pochi osservatori, attiene bensì alle due personalità diverse ma con una sorta di loro unificazione in nome e per conto di una sottoqualità per dir così personalizzante, e che si esemplifica nell’uso e abuso delle parole rispetto ai cosiddetti fatti che in politica e al governo dovrebbero sempre fare aggio. Intendiamoci, non sono i soli a ben vedere, basti pensare alle diatribe interne di un Partito Democratico che si avvicina ad un congresso, o meglio resa dei conti, in cui i politici tout court sembrano intesi più a una partita di carte, con scambi di compagno, facendo così emergere un terzo incomodo, meno politico di tutti e già loro ministro economico, e di ottima qualità. Ma tant’è.
Le parole si inseguono implacabili in questa sorta di gioco del polo senza cavalli, ed è inevitabile che un Salvini più pratico degli altri intravveda una raccolta copiosa più o meno imminente di suffragi proveniente da quello che un giorno si chiamava il centro, centrodestra, dove è risuonato il gong solitario della sopracitata Carfagna rivolto di certo come invito all’interno ma con una punta di avvertimento per l’esterno, per quel Salvini che procede lungo il suo cammino nel quale, probabilmente, più che alla saldatura coi pentastellati i suoi piani prevedono un arricchimento a spese degli alleati.
L’incedere salviniano, come si ricorda da più parti, è agevolato di certo da un’assenza di un’opposizione degna di questo nome ma, al tempo stesso, trova facilitato il compito dalle incertezze di un Luigi Di Maio alle prese, in questi giorni, con il problema del padre, di cui già Maria Elena Boschi ebbe per dir così a soffrirne e non solo familiarmente, ma politicamente, come oggi tocca a lui. C’è di mezzo il totem del lavoro, offeso dal lavoro nero, con gli operai in regola e quelli no, un’azienda con a capo un padre che deve comunque barcamenarsi come qualsiasi piccolo imprenditore, e un figlio, già socio dell’azienda, che deve prenderne le distanze non tanto o soltanto per la ovvia pressione politica derivatane, quanto soprattutto per quel fondo di moralismo, populismo e giustizialismo che, come ricordavano gli antichi, è molto facile da sventolare erga omnes, ma diventa un autogol quando tocca il sé ipsum. Ma, sempre sull’onda del latinorum, si può ben dire che in questo contesto maiora premunt, sia per chi governa sia per chi gli è contro, ma anche, direi soprattutto, per chi governa con un’alleanza nella quale, come si va dicendo, si inseguono molto più frequentemente le parole dei i fatti i quali, tuttavia e come sempre, si prestano a una narrazione più attenta rispetto ai contenuti reciproci, alla cultura, alle posizioni di entrambi a proposito dei grandi temi che, pur essendo sullo sfondo delle cose, più piccole che grandi fino ad ora realizzate, contraddistinguono M5S e Lega. E che vale la pena ricordare. I pentastellati di Luigi Di Maio sono, a partire da Beppe Grillo, per la decrescita cosiddetta felice, mentre i leghisti già bossiani e oggi stretti intorno a Salvini sono per la crescita. Per apparenza ma soprattutto nei contenuti, a proposito dell’alleanza a due, si dovrebbe parlare di incompatibilità. L’ambientalismo gridato, l’ecologismo costi quel che costi, la dura avversità alle grandi opere, sono temi cosiddetti irrinunciabili per gli attivisti del M5S e per i loro eletti in Parlamento e ora al Governo ma, spesso, con gli elettori sia pure protestatari per principio ma in sostanza niente affatto contrari alle infrastrutture sia piccole che grandi.
Al contrario e come è stato osservato, il campo leghista è nutrito e mosso da una visione più dinamica di una società in crescita con un’attenzione da parte di vertici e rappresentanti salviniani che esce dai confini prefissati del Nord guardando più intensamente e interessatamente al Meridione. Due visioni per dir così opposte. E un compromesso.
E i compromessi, e questo soprattutto, non sono all’acqua di rose, a maggior ragione se scritti nel libro dei libri, il mitico “Contratto”. Ma, per rispetto alla sacralità del testo, i compromessi subiscono un limite, una compressione, una ridimensione. Diventano indicazioni. Generiche.
Aggiornato il 30 novembre 2018 alle ore 11:04