Durata maggioranza: lunga o breve?

Non è stata posta, fino ad ora, con chiarezza una domanda sulla durata (lunga o breve) di questa maggioranza a due. Meglio così, come si dice in questi casi. Anche se qualcuno nel suo interno, a cominciare dai vertici, un problema del genere sa comunque che c’è.

Una volta, nell’immortale Carosello, si cantava, alla milanese, il mitico “dura minga, dura no, non può durare!” e ci azzeccava. Il fatto è che, soprattutto per quanto attiene alle politica pentastellata, viene facile la considerazione a proposito della diversità, quasi sempre radicale, fra il prima e il dopo, fra le proposizioni (promesse) prima delle elezioni e le decisioni assunte dopo. Non possiamo né vogliamo procedere a verifiche di quanto sopra non tanto o non soltanto per via dello sfondo accusatorio che ne deriva, quanto soprattutto per sottolinearne, con la dovuta serenità, il risultato di autentica autolimitazione. Non fosse altro perché il movimento di Beppe Grillo è passato di colpo dall’opposizione ai governi tout court al Governo. Con la Lega di Matteo Salvini, non di Umberto Bossi. Che non è la stessa cosa. C’è comunque una continuità nel fare politica grillino di prima e di ora e riguarda il giustizialismo, la cui pianta viene periodicamente innaffiata, sia pure nelle piccole vicende, seppure e a loro modo simboliche, nelle quali si evidenziano i due poli della questione sullo sfondo, in questo caso siciliano e precisamente corleonese. Da un lato Luigi Di Maio, sempre più imbracciante la ramazza per fare pulizia, dall’altro il sindaco di Corleone Maurizio Pascucci e il deputato Giuseppe Chiazzese, entrambi pentastellati, messi sotto processo e (quasi) espulsi per una foto con un nipote di Provenzano, che non c’entra niente, assolutamente, con il famoso parente mafioso. Per carità, ogni leader è libero, e spesse volte costretto, a decisioni severe a fronte di una foto con un signore nipote di cotanto mafioso, ma sorge spontaneo il dubbio che nella decisione a freddo dimaiana abbia avuto un qualche peso la considerazione di non pochi osservatori secondo cui la fotografia porterebbe alla ribalta quel nome ancora utilizzabile a scopi elettorali, sia pure puliti, pulitissimi. Come del resto sostengono, anche urlando, il sindaco uscente e il parlamentare.

Citiamo il caso che si presta comunque a letture diverse, interessate, duplici e triplici e comunque politiche su uno sfondo elettorale che resta comunque una scelta, un esame, un invito a un consenso nel quale, peraltro, le carte sono chiare, senza i cosiddetti inghippi più o meno occulti, sotterranei, laddove i pochi o i tanti potrebbero considerare come la lotta alla mafia, intesa come battaglia del bene contro il male, fosse più sottile e meno declamatoria e, forse, più completa e alla luce del sole (e delle foto).

Su Di Maio - che contende all’altro “vice” il primato delle maggiori e martellanti presenze, non solo o non soltanto sul territorio ma sui mass media, in particolare sul medium televisivo - una riflessione sul prima e il dopo sorge spontanea soprattutto in riferimento al suo ruolo nel Governo, cioè dopo, all’opposizione, cioè prima nella misura e nei modi con cui i due termini sono declinati, sol che si pensi a quella campagna antivaccini che già allora (cioè prima) aveva poco senso, e figuriamoci adesso (cioè dopo), e da Palazzo Chigi per di più.

Si sa che nel passaggio dal dire sempre no, per qualche voto in più, alla conservazione e all’uso di un consenso da posizioni di governo, qualche difficolta in più è offerta facendo pure lo sconto proprio a chi non ha alcuna esperienza nel ramo ma che, sia prima che dopo, non dimostra una sia qual pur lieve forma di pentimento, ma semmai il contrario, come nel caso, anche questo non grande né grave ma indicativo allorquando il vice presidente del Consiglio (non uno di noi dunque) parla a proposito dell’aumento dei titoli di Stato che, secondo lui, non ci costa nulla giacché “il rendimento è a dieci anni… di che siamo parlando?”; ebbene, viene voglia di commentare che lo stile è l’uomo. Di Stato?

Molto nota ed esaltata, come ben si addice(va) ad una forza oppositoria a tutto e a tutti, la battaglia contro l’Europa e contro l’Euro, sulla quale, come su altre analoghe vicende pentastellate del prima e del dopo, la critica non ci è sembrata così attenta e premurosa nel rilevarne le contraddizioni. Peccato, anche perché il Di Maio-pensiero, a proposito di Europa ed Euro è oggi letteralmente rovesciato rispetto a quel fatale (per gli altri, fuorché Salvini) 4 marzo.

C’è, in questi giorni, un sondaggio dell’autorevole Eurobarometro condotta su circa trentamila cittadini dell’Unione europea che mostra che il 68 per cento di loro è convinto che l’Unione abbia portato dei vantaggi al proprio Paese mentre il 61 per cento ritiene che l’Euro abbia giovato. Peccato, poi, che abbiano votato più per i partiti antieuropei. E il Movimento 5 Stelle ne sa qualcosa, con la conseguenza italiana del Governo: per loro. Ma durerà?

Aggiornato il 29 novembre 2018 alle ore 10:10