Per dirla col direttore, il difetto se non i difetti del partito dello spread e della patrimoniale, sono tanti e non minuti e dunque visibili, sullo sfondo di una situazione italiana per così dire inquieta.
In questo quadro “politico” si parla tanto di Matteo Salvini e Luigi Di Maio non tanto o non soltanto perché ai due vice manchi la cosiddetta parlantina-videatina, quanto, soprattutto, per un’inevitabile concorrenza fra i due rispettivi partiti, M5S e Lega, che secondo taluni somiglierebbero sempre più alla prima Democrazia Cristiana (né di destra né di sinistra, come si autoproclamano), ma appaiono anche come separati in casa con pochissime cose “politiche” in comune e con un Salvini che, comunque, è o sarebbe il padrone nel suo partito, mentre Di Maio no. Pur essendo i rappresentanti, peraltro ampiamente votati, del “Nuovo che avanza”.
Intanto, è esplosa, come si dice, la polemica con Mario Draghi che ha suonato la sveglia a proposito di come va l’Italia giacché secondo il numero uno della Bce, “anche l’Italia come Brexit e la guerra commerciale è fra le incertezze per lo scenario economico dell’Eurozona” in un contesto caratterizzato dal rialzo dello spread che “sta causando un rialzo dei tassi a famiglie e imprese”, fermo restando che “la Bce non si piegherà alle esigenze di deficit dell’Italia” e che “il pieno rispetto del patto di stabilità e crescita è cruciale per preservare posizioni di bilancio solide”. Ah già, il bilancio, siamo sempre lì. A cominciare da Salvini e Di Maio. E pure Giuseppe Conte.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, lo citiamo quasi per intero, mostra qualcosa di più di una preoccupazione per lo spread in aumento giacché “se si alzasse ancora, o si mantenesse elevato come ora, certo sarebbe un problema. Un problema di sistema... Dobbiamo augurarci che scenda, abbassiamo tutti i toni e facciamo sistema perché ciò avvenga”.
La domanda di fondo che ci si pone, fra le tante, è che ne pensino i suoi (di Conte) “vice”, e che dicano, anche perché Draghi presiede bensì un organismo internazionale ma è pur sempre italiano. E con ciò, direte voi? Con ciò ha proprio a che fare le replica a spron battuto di Luigi Di Maio, il cui bersaglio non poteva e non può non essere, diremmo ovviamente, che il presidente della Bce che “avvelena il clima quando è invece il momento di tifare per l’Italia” in una situazione nella quale “i tedeschi ci rispettano e nel contratto non c’è l’uscita dall’Euro”.
L’italianità, nell’accezione dimaiana, come qualità staremmo per dire primaria che dovrebbe spingere anche oltre il recinto imposto dagli obblighi (e che obblighi) internazionali tanto più che, trattandosi del nostro bilancio, secondo il ministro per gli Affari europei, Paolo Savona: “Non c’è dubbio che la manovra sarà rimandata alla Commissione Ue tale e quale”. Finis, the end? Niente affatto. A meno che...
A meno che, inascoltato, sia il cosiddetto partito del Quirinale con i vari Conte e Giorgetti, impegnati a tirare il freno, e sia l’altro partito, quello del buon senso e soprattutto della buona politica, non ci capiti di sentire uno dei due (vice) in tv canticchiare quell’indimenticabile “lasciatemi cantare, con la chitarra in mano, sono un italiano, un italiano vero!”. E Draghi, ditemi voi, che fa? E soprattutto, che canterà?
Aggiornato il 26 ottobre 2018 alle ore 17:53