Si capisce che Rocco Casalino è quello che è e del quale s’è detto tutto, compreso un certo suo “squadrismo da Whattsapp” con tanto di manganellate politiche. Del resto va pure considerata valida la tesi secondo la quale “senza Casalino la leadership di Luigi Di Maio durerebbe mezz’ora”.
Ma il punto specifico ci sembra un altro ed è anche più ampio del singolo nella misura con la quale non può essere e non è uno solo il capintesta della comunicazione grillina, al di là dell’ovvio motivo che il vero comandante resta sempre Lui (con la elle maiuscola) che nella sua indiscutibilmente superiorità e disponibilità spettacolare ha saputo cogliere da anni il senso più profondo e più popolare dello specifico italiano (e non solo), che è l’antipolitica col suo portato insistito in quella pars omnia destruens che in Italia si è allargata in un programma ampio e pure articolato crescendo ai diversi livelli su su fino al governo.
Il ragionamento va quindi spostato su quella caratteristica di fondo ed essenziale che il grillismo, ma pure il leghismo, si portano dietro fin dalla nascita connotandone ogni aspetto a cominciare, va da sé, dalla comunicazione: la demagogia. Intendiamoci bene sul termine “comunicazione” che ancora per non pochi sembra collocarsi sic et simpliciter nei mass media. Il punto vero è l’utilizzo di questa tipologia comunicativa peraltro antica come il mondo che va dai greci ai romani antichi passando per la Germania nazista alla russo stalinista e ci fermiamo qui, sposandosi col populismo nel quale è, a ben vedere, una costola, come spiegano bene i similari termini “demos” e “populus”.
Se ne prendiamo l’esempio più eclatante, anche per via della sua acquisita ufficialità situata né più né meno che a Palazzo Chigi che è il Palazzo più Palazzo di tutti, va comunque notato che proprio da questa ufficialità la demagogia di Luigi Di Maio si va imponendo sui mass media sia con la sua forza “ab origine grillina” sia con le modalità prevalentemente televisive che il suo autore sembra conoscere bene anche e soprattutto per una presenza sempre più frequente se è vero come è vero che questa visibilità sembra giorno dopo giorno crescere su se stessa fino ad apparire ossessiva e pure ossessionante.
In fondo, a dirla in termini più terra terra, il dimaismo si sposa con il casalinismo imponendone sia le cosiddette modalità sia il cosiddetto (è proprio il caso di dirlo) pensiero in una sequenza senza soste di demos sussunto e trasformato in un presenzialismo a un tempo predicatorio e onnicomprensivo in cui fa da capofila argomentante l’elogio di se stessi e la diffamazione dell’avversario in un continuum, anche e soprattutto via Twitter e Whattsapp, della stessa campagna elettorale e dei suoi temi consistenti in promesse tanto altisonanti quanto garantite da soluzioni immediate.
Qualsiasi tipo di demagogia politica sempre e comunque è per dir così condizionato dall’opposizione qualora la democrazia sia comunque garantita, come è il caso italiano. Il punto vero e dolente è che l’opposizione politica da noi e in questi tempi sembra abbastanza latitante, non avendone ancora colto fino in fondo la portata e lo stesso disegno contribuendo alla sua crescita e diffusione per ora intramoenia e domani anche fuori contagiando un clima europeo che, a quanto pare, è sempre più frequentato dalle nuvole populiste. Ma oltre all’opposizione, che prima o poi si sveglierà dal sonno della non ragione così diffuso, la demagogia e il suo emblema dimaiano hanno e avranno sempre più a che fare con ciò di cui essa maggiormente ha timore, ovvero i fatti, la realtà, gli accadimenti, al di là delle stesse necessità, ovvero obblighi, posti dai numeri che indicano risorse disponibili costringendone chiunque a fare i conti. E il drammatico accadimento del ponte autostradale genovese ne è l’esempio più vistoso e al tempo stesso più urgente, proprio perché rispecchia e potenzia i limiti impressionanti della demagogia quando questa non soltanto non esprime un progetto suo proprio della polis ma, al contrario, manifesta una non meno impressionante incapacità e totale inadeguatezza proprio in ragione di quello che il nostro Diaconale, mutuandone dal gollismo primigenio quella felice e direi fatale impronta a proposito dei cretini e del loro “vaste programme”. Con un risultato oggi a Genova, ma (forse) domani in Italia, per dir così doppio ma dalle sembianze reciprocamente diverse e sintomatiche laddove alla demagogia di quel vasto programma sta rispondendo il demos, il popolo di Genova il cui programma è ben diverso. E ben più fattibile.
Come si dice: ne vedremo delle belle, vero ministro Toninelli?
Aggiornato il 28 settembre 2018 alle ore 18:44