Indovinala Grillo, si diceva ai bei dì, quando il Beppe nazionale faceva ridere. Adesso che ha inventato un grosso partito non fa più ridere ma, semmai, pensare. Vedi l’ultimissima uscita con una proposta di parziale estrazione a sorte dei parlamentari.
C’è da giurarci che un Parlamento come l’attuale che si riunisce ben poco e non pare abbia prodotto granché, si ravvivi un tantinello abbandonando la gran tranquillità che lo avvolge. Meno tranquilli, dunque, chi ne sta dentro e chi ne sta fuori? La cosa non deve e non può stupire nel senso che il Parlamento (Camera e Senato) tranquillo non lo è mai stato. E mai lo sarà. Intendiamoci: la tranquillità di cui parliamo non riguarda la vita politica di senatori e deputati, con i suoi incontri, scontri e decisioni più o meno complesse e neppure i cosiddetti interna corporis del Parlamento, ma addirittura la sua legittimità ché la proposta grillina introduce un vero e proprio vulnus alla identità di deputati e senatori.
Identità intesa come legittimità derivante da ciò che nei regimi dittatoriali è interdetto per la semplice ragione che le elezioni libere e democratiche sono un vero e proprio nonsense per qualsiasi dittatore, a cominciare da quello dello Stato di Bananas. Per carità, niente paragoni ma, semmai, un ragionamento meno superficiale a proposito di simili tendenze di cui, peraltro, si avverte qualche eco come nella stessa creazione del Governo Conte-Di Maio-Salvini che non nasce dalla stipula di un programma di governo ma da un “contratto” forse in ricordo del “Contrat Social” di Rousseau al quale, peraltro, il M5S ha dato il nome alla piattaforma che tutto fa, tutto vede e tutto dirige.
Non a caso, qualche osservatore ha notato che non pochi suoi punti sono in contrasto con la nostra Costituzione in virtù (si fa per dire) di una sorta di centralismo di fondo che bene si coniuga con populismo e autoritarismo. Per ora a parole, che pure contano, anche perché il Contratto non sembra così sensibile all’articolo 67 della Costituzione a proposito del “parlamentare che rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”, tant’è vero che nella visione grillina di qualche anno fa i parlamentari erano simili, né più né meno, che a dei funzionari del partito e, comunque, da destituire dai cittadini in qualsiasi momento. Oggi i toni sembrano improntati a una qualche prudenza se è vero come è vero che la chiamata dei cittadini a sostituire un parlamentare che cambia casacca (556 nell’ultima legislatura di cui 40 pentastellati) non c’è più, almeno ufficialmente giacché la Costituzione è chiara sul mandato parlamentare laddove il “divieto di mandato imperativo consente al parlamentare di votare senza gli indirizzi del suo partito ma anche di non farlo, senza che derivino conseguenze a suo carico per avere votato contro le direttive del partito”.
Oggi che il Contratto è in vigore avanza una proposta che, a ben vedere, ha a che fare con la stessa identità di chi è eletto e rappresenta la nazione poiché introduce l’ipotesi di un’estrazione dall’immenso corpaccione italico, del senatore o deputato mancante. Un passo avanti? Non pare, ché l’estrazione a sorte di un parlamentare sembra l’ultimo (per ora) approdo a una sostanziale delegittimazione dell’istituzione stessa fondata sul voto libero e democratico dei rappresentanti di un popolo sostituito, nel caso, da un’estrazione a sorte. E mi raccomando: il notaio!
Aggiornato il 28 giugno 2018 alle ore 18:43