In attesa del governo dei miracoli

Mantenendo una congrua riserva di scetticismo in merito al suo varo effettivo, mi appresto ad osservare il prossimo governo giallo-verde.

Un governo che nasce all’insegna della più stupefacente campagna elettorale della storia repubblicana, stravinta da due forze politiche che hanno promesso ogni sorta di miracolo, creando molte aspettative nella maggioranza degli italiani. Aspettative che, detto tra noi, non potranno mai essere neppure in parte accontentate, soprattutto in considerazione degli insormontabili limiti che la realtà sistemica del nostro Paese impone e imporrebbe a chiunque.

In estrema sintesi, non c’è il becco d’un quattrino per abolire la Legge Fornero, istituire il reddito di cittadinanza, abbassare le tasse e altre amenità programmatiche esposte in questi anni da Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Da questo punto di vista occorre aggiungere che solo per mantenere in precario equilibrio il bilancio pubblico sarà necessario scovare circa 20 miliardi entro pochi mesi, cosa molto complicata, evitando nel contempo di far scattare i paventati aumenti dell’Iva e delle accise. L’unico modo per venire incontro almeno in parte agli elettorati leghisti e grillini, abbassando le tasse per i produttori del Nord e aumentando i sussidi ai disoccupati del Sud senza provocare l’immediato default dello Stato, sarebbe quello di mettere in piedi una colossale operazione di redistribuzione tutta interna alla spesa pubblica, togliendo risorse dai principali capitoli di spesa dello Stato medesimo, tra cui quello più rilevante delle pensioni, che stanno tanto a cuore al leader del Carroccio, per riversarle altrove.

Si tratta ovviamente di fantapolitica, dato che nei moderni sistemi democratici lavorare in maniera drastica sui cosiddetti diritti acquisiti è praticamente impossibile. E allora, direte voi, non ci avranno mica preso in giro promettendo cose che in cuor loro ben sapevano che non sarebbero stati in grado di mantenere? Che dire, probabilmente Salvini e Di Maio rappresentano semplicemente il portato di una collettività democratica la quale, è bene ricordarlo, dopo il crollo della cosiddetta Prima Repubblica si è barcamenata in una sorta di alternanza obbligatoria in cui chi stava all’opposizione si sentiva legittimato a spararle grosse, per così dire, nella consapevolezza di poterselo permettere, vista la cronica fragilità di un Paese sempre meno virtuoso.

Solo che questa volta forse siamo andati un po’ troppo oltre con la gara delle balle spaziali. L’elettorato è riuscito a farsi convincere in maggioranza da due forze politiche che hanno completamente sublimato la realtà attraverso una narrazione completamente fantastica, sostenuta da un impianto programmatico del tutto inapplicabile.

Ora però siamo al redde rationem. Chi ha promesso miracoli agli elettori adesso dovrà dimostrare sul campo di poterli realizzare, senza nascondersi dietro l’alibi dell’Europa matrigna o di una classe politica incapace e disonesta. Adesso, come si dice a Roma, Salvini e Di Maio vadano avanti loro a oltranza, perché a noi vien da ridere, anche se ci sarebbe più che altro da piangere.

Aggiornato il 14 maggio 2018 alle ore 10:02