Un governo liberale nell’Italia illiberale?

Nella bella e dotta prefazione alla riedizione del classico “Burocrazia” di Ludwig von Mises (Rubbettino Editore, 2011), Lorenzo Infantino ricorda la sentenza pronunciata da quel Gigante a proposito dello Stato onnipotente: “I governi diventano liberali solo quando vi sono costretti dai cittadini”.

Ecco il punto fondamentale trascurato purtroppo dagli illusi di potersi aspettare il governo liberale nell’Italia illiberale. Il vecchio aforisma secondo cui ogni popolo ha il governo che si merita vale in entrambi i sensi: positivo e negativo. Per gl’Italiani vale al negativo. Infatti, generalmente parlando, lo Stato e il Governo sono esattamente come li determinano i cittadini, sebbene se ne lamentino al massimo. Un bel paradosso.

Tutti sono, a parole, per la crescita, ma pretendono e ottengono i provvedimenti esattamente contrari a favorirla. Tutti sono, a parole, contro la supertassazione, ma pretendono più interventi, più assistenza, più servizi pagati dall’erario, che però utilizza soldi prelevati con ogni genere di tributi a loro stessi cittadini (a quelli che li versano anziché evaderli) oppure ottenuti indebitandosi. Tutti invocano, a parole, la piena occupazione, ma fanno di tutto per ostacolare l’imprenditoria libera che sola genera veri posti di lavoro oppure per caricare sullo Stato impiegati pubblici che spesso rendono nulla o non valgono quanto costano o sono del tutto inutili e dunque parassitari. Tutti inveiscono, a parole, contro la burocrazia ma richiedono allo Stato ciò che lo Stato può concedere solo per mezzo di apparati burocratici. Tutti lamentano di essere impaniati da eccessive e complicate prescrizioni normative, ma esigono leggi e regolamenti specifici per loro stessi e la loro enclave di interessi.

Il contesto culturale, sociale, istituzionale determinato da aspirazioni e aspettative individuali e collettive incompatibili complessivamente con l’ordine liberale evocato dall’espressione “società aperta” diventa così l’humus politico della florida mala pianta delle costrizioni e restrizioni che comprimono e frenano i gangli principali e vitali della collettività. Per quanto conservi un certo grado di funzionamento, la società civile non riesce così a soddisfare pienamente nessuno perché in troppi, chi più chi meno, singoli o associati, agiscono sulla base di un sistema di convinzioni rimanendo ignari delle ineluttabili implicazioni e conseguenze, le quali, ciò nonostante, deprecano a dispetto della coerenza, dell’esperienza e di quella che il nostro grande Machiavelli (pochissimo letto ma moltissimo citato a sproposito per l’unica frase che non ha mai né detta né pensata!) chiamava “la verità effettuale”.

Benché le leggi elettorali dell’ultimo decennio abbiano sfigurato il carattere elettivo del Parlamento, manipolando la libertà di scegliere i parlamentari fino a far sembrare il sistema un’“oligarchia temperata dal voto”, come mi piace definirlo, esso resta pur sempre una democrazia rappresentativa, che perciò raccoglie, canalizza, trasforma in indirizzi governativi, legislativi, amministrativi, largamente conformi, i desideri del popolo comunque espressi nel voto. Dunque dobbiamo chiederci retoricamente: “Potrà mai un’Italia illiberale costringere il governo a realizzare la politica liberale?”.

Aggiornato il 23 marzo 2018 alle ore 10:26