La caduta di stile di Mentana

Se non lo avessi ascoltato con le mie orecchie non lo avrei mai creduto possibile. Enrico Mentana, considerato da molti un esempio di giornalismo equilibrato, nell’introdurre un servizio sulla confusa vicenda di Francesco Bellomo, si è così espresso: “Vediamo un fatto italiano, ancora quello scandalo di quel magistrato, consigliere di Stato, gran porco, che, come si sa, adesso finalmente è nel mirino della stessa magistratura”.

Il fattaccio, perché di questo si tratta, risale al Tg di La7 delle 20 di lunedì scorso. Nonostante il protagonista della citata vicenda, come ampiamente riportato dalla stessa emittente di Urbano Cairo, si trovi coinvolto al momento nella veste di semplice indagato, egli sembra aver oramai assunto il ruolo di capro espiatorio per una italica informazione che, come dimostrano le inqualificabili parole di Mentana, inclina pericolosamente verso forme molto gravi di linciaggio mediatico, così come giustamente evidenziato dal nostro direttore in un commento del 14 dicembre.

Tutto ciò, ovviamente, a prescindere dalle vere o presunte responsabilità di Bellomo il quale, foss’anche si dimostrassero comprovate da fatti inoppugnabili, meriterebbe comunque un trattamento civile, soprattutto da chi gestisce la pubblica informazione. Ma quali che siano le motivazioni che stanno trasformando troppi seri professionisti della stampa nazionale in meri specialisti di ordalie medievali, con tanto di gogna sempre pronta all’uso, ciò non può che inserirsi in un evidente processo regressivo che interessa in modo trasversale percentuali crescenti della nostra società. Ed è per questo particolarmente grave che a contribuire a codesta sorta di collettivo ritorno del rimosso, in cui riemergono meccanismi di psicologia di massa piuttosto ancestrali, come per l’appunto la ricerca spasmodica di un capro espiatorio da portare al rogo mediatico, vi siano personaggi i quali, a prescindere dal loro orientamento politico, hanno fatto la storia recente del giornalismo italiano. E non basta. In quel “gran porco” pronunciato da Mentana non c’è solo un, più o meno consapevole, richiamo ai più bassi istinti del popolo, bensì io riscontro il solito, inaccettabile pregiudizio colpevolista e manettaro di chi se ne infischia altamente della costituzionale presunzione d’innocenza, mettendosi letteralmente sotto i piedi i diritti di una persona che non è stata neppure rinviata a giudizio.

In questo senso, definire abissale l’inverosimile caduta di stile del pur sempre ottimo Enrico Mentana diventa quasi un eufemismo.

Aggiornato il 22 dicembre 2017 alle ore 08:13