Se il “no vax” è federalista o no

 

Abbiamo da sempre molta stima dei veneti e del loro governatore Luca Zaia. Uno dei migliori fichi del bigoncio leghista ma, al tempo stesso, un ottimo presidente di giunta, e che giunta. Ma la decisione del Veneto di non applicare la legge sulla obbligatorietà dei vaccini in riferimento alla frequenza scolastica - benché, ad essere precisi, si tratti di un provvedimento di sospensione di due anni - non può non suscitare qualche riflessione. Sia sanitaria che, ovviamente, politica.

Non siamo esperti di questi particolari settori ma il dato più curioso, regionalmente parlando, è che Bobo Maroni, presidente della Regione Lombardia nonché membro dello stesso partito del collega veneto, ha preso tutta un’altra direzione, condividendo il decreto del ministro Beatrice Lorenzin e dichiarando che non solo non intende aprire uno scontro con il Governo, ma che ha avuto “una leale collaborazione istituzionale con i ministri della Salute e dell’Istruzione”, accettando in tal modo le prescrizioni obbligatorie del decreto in questione, ma rimanendo autonomista, federalista e regionalista come prima e più di prima; e propositore, tra l’altro, dell’omonimo referendum lombard (o meglio, lumbard).

In Veneto si è invece andati nella direzione opposta rifiutando “l’imposizione” governativa in quanto non in linea perfetta con la Costituzione, definendola un “intervento statale che impone una coercizione per di più attuata con decreto d’urgenza, senza precedenti storici, nemmeno in periodi bellici rendendo così il Paese detentore del primato del maggior numero di vaccinazioni al mondo”.

Ovviamente, la regione autonoma della Valle d’Aosta è sulla stessa lunghezza d’onda. Va peraltro ricordato che il “no vax” è un grido di battaglia fatto proprio dai pentastellati sull’onda (loro vanno sempre dietro a qualche onda, figuriamoci) e in ascolto di gruppi di genitori arrabbiati i quali, nei giorni scorsi hanno addirittura proposto una “scuola parallela per i loro bambini “perché lo Stato non può decidere per noi”. Va da sé che la comunità scientifica nazionale e internazionale è di ben altro parere non solo e non tanto perché il diritto alla salute è garantito, prima ancora che dalla politica, dalle decisioni scaturite dagli studi e applicazioni della scienza medica al servizio, per l’appunto, di quel diritto sacrosanto, ma perché fino a quasi venti anni fa c’era in Italia l’obbligo dei vaccini per andare a scuola essendo vigente allora, come ora, la stessa Costituzione.

Non dovrebbero dunque esistere dubbi di anticostituzionalità del decreto in questione, ma, semmai, il rischio che le famiglie di bambini che dovessero ammalarsi di una delle malattie per cui è stato reso obbligatorio il vaccino possano fare causa alla Regione che comunque ne rinvia di anni l’applicazione, con responsabilità civili e penali che ricadrebbero sugli amministratori regionali. Il punto dunque non ci sembra se una decisione a tutela del diritto alla salute, ancorché presa da una decreto governativo, sia contro l’autonomia locale, antiregionalista, illiberale e contro la democrazia intesa come “uno vale uno”.

Nel vangelo populista grillino è quasi un precetto quello di seguire, adulare, appoggiare e stimolare qualsiasi spunto contestativo delle autorità centrali - fino a quando non ci saranno loro, si capisce - dimenticando che il diritto alla salute individuale e collettiva non ha nulla a che fare con regionalismi di lotta, e soprattutto di governo. È arduo mettere il no vax fra i principi ideali e politici del federalismo.

Aggiornato il 05 settembre 2017 alle ore 19:14