Vincere facile a colpi di deficit

Ci sono evidenti ragioni elettoralistiche a spingere Matteo Renzi verso l’ennesima campagna mediatica contro la presunta austerità europea e in favore di uno sciagurato allargamento del deficit pubblico, con inevitabili ricadute negative sul debito. Tuttavia si conferma appieno la sua propensione ad inseguire l’opposizione populista sulla strada delle scorciatoie pagate a caro prezzo dalle generazioni future. Al di là degli slogan, nella proposta renziana di rottamare il cosiddetto Fiscal Compact, tornando per cinque anni a indebitarci sulla soglia del 3 per cento stabilito col Trattato di Maastricht, c’è comunque un elemento condivisibile: far ripartire la crescita abbattendo la pressione fiscale soprattutto sulle imprese. Ma ciò non può funzionare al di fuori di un robusto taglio alla spesa pubblica, vero nodo strutturale che sembra non interessare alcuna forza politica di un certo rilievo nazionale.

D’altro canto, occorre sottolineare che il segretario del Pd e i suoi avversari di tutti i colori sanno bene che in Italia oramai le fasce della popolazione più propense a recarsi alle urne sono proprio quelle che sono interessate al grande fiume carsico della medesima spesa pubblica, la quale ammonta a ben oltre metà del Prodotto interno lordo.

Pertanto, ogniqualvolta si lanciano anatemi contro la perfida Europa che ci impedirebbe di spendere i quattrini degli altri, perché di questo si tratta, si ritiene di fare cosa buona e giusta sul piano della comunicazione politica. Se poi, come è accaduto nei quasi tre anni del Governo Renzi, la grande flessibilità ottenuta da Bruxelles si traduce, nonostante gli altisonanti proclami in favore dello sviluppo e degli investimenti, in spesa pubblica aggiuntiva di pessima qualità del tipo “panem et circenses”, tanto per intenderci, poco importa.

Ciò che conta veramente per l’attuale fallimentare classe politica, specchio fedele di un Paese che sembra aver perso la bussola del buon senso, è realizzare ulteriori e insensate redistribuzioni di risorse rigorosamente a debito. Il problema è che tutto ciò comincerà maledettamente a scricchiolare quando l’ombrello salvifico della Banca centrale europea di Mario Draghi verrà inesorabilmente chiuso, determinando un inevitabile aumento dei tassi. Un problema che sembra non porsi per un sistema politico che vive sempre più alla giornata.

Aggiornato il 12 luglio 2017 alle ore 19:31