Venti d’ipocrisia dal Golfo Persico

La geopolitica è portatrice sana d’ipocrisia. C’è una crisi nel Golfo Persico che sta per scoppiare. O forse, no. Arabia Saudita, Bahrein, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Yemen hanno deciso di isolare il Qatar. Per quale ragione? Si accusa la dinastia regnante nel piccolo Stato del Golfo di finanziare il terrorismo islamico dell’Is e i movimenti integralisti dei Fratelli Musulmani e di Hamas. Sull’analisi della crisi vi risparmiamo i dettagli per i quali consigliamo la lettura del puntuale articolo pubblicato ieri da Stefano Magni sul nostro giornale. Resta tuttavia la percezione che si tratti di una gigantesca sceneggiata.

Sarà vero che l’establishment qatariota pompi denaro sottobanco alla peggiore canaglia terrorista ma che il fatto venga contestato da regimi di stretta osservanza wahabita, come quello che tiene in scacco l’Arabia Saudita che per anni ha flirtato con Al-Qaida, suscita perplessità. È come se il bue desse del cornuto all’asino. Quindi, il punto non è stabilire chi tra loro abbia le carte in regola nella lotta al terrorismo: l’odore fetido dell’ambiguità promana da tutte le parti e nessuno è più profumato degli altri. Si tratta, però, di capire come si debba porre l’Occidente di fronte alla pantomima di sceicchi ed emiri che si danno battaglia a suon di petrodollari. Ma preoccupiamoci di casa nostra. Chi da noi non è contro il radicalismo islamico? A parole. I fatti, invece, raccontano una differente verità. L’Emirato del Qatar, che dispone di ricchezze finanziarie quasi illimitate, ha iniziato a fare shopping in Italia. Il fondo sovrano di Doha ha investito nel nostro Paese 6milardi di dollari. L’attenzione dei qatarioti è focalizzata sugli immobili, sul turismo e sull’alta moda. Gli emissari dell’emiro Al-Thani hanno comprato a Firenze il prestigioso Palazzo della Gherardesca, che ospita l’hotel Four Seasons, e il Gran Hotel Baglioni. A Milano hanno rilevato il complesso dei grattaceli di Porta Nuova con il suggestivo “bosco verticale” disegnato dall’archistar Stefano Boeri, oltre allo storico Hotel Gallia, sede un tempo del calcio-mercato. A Venezia si sono accaparrati il Gritti Palace. In Sardegna hanno fatto un solo boccone della Costa Smeralda, lanciata sul mercato dall’Aga Khan. E, seguendo la logica della chiusura della filiera produttiva, i qatarioti hanno messo denari nella compagnia aerea Meridiana che assicura i collegamenti tra l’isola e la terraferma. Inoltre, hanno stipulato un’intesa con il Fondo strategico di Cassa Depositi e Prestiti in vista di futuri investimenti congiunti. Sono nella produzione alimentare grazie all’acquisto di quote della società Inalca del gruppo Cremonini. Nell’alta moda hanno acquisito la maison Valentino. In Qatar saranno pure prodighi ma non sono scemi. Quando gli ultimi inquilini di Palazzo Chigi hanno tentato a più riprese di rifilare ai qatarioti le azioni del Monte dei Paschi di Siena si sono sentiti rispondere con un cortese “No, grazie”. Le banche italiane non fanno per loro, troppo rischiose.

Ma il Qatar non è solo il luccichio dell’alta finanza. C’è anche il lato oscuro della propaganda religiosa. Ci sono tanti soldi devoluti per la costruzione di nuove moschee in Italia. Si parla di 25 milioni di dollari affidati alla Qatar Charity, l’organizzazione non-governativa che si occupa per conto dell’emiro Al-Thani di sostenere le comunità islamiche in Europa. Se questo è il quadro come pensiamo di vincere la lotta al terrorismo islamico? Vendiamo pezzi dei nostri migliori comparti produttivi proprio a coloro che finanziano l’espansione dell’Islam all’interno della nostra comunità nazionale. E ne andiamo fieri. Come si fa a essere credibili nelle politiche contro gli jihadisti se poi, i nostri governanti, nessuno escluso, fanno la fila col cappello in mano a chiedere quattrini all’emiro doppiogiochista? La verità è che la lotta al terrorismo, in fatto d’ipocrisia, è pari solo a quella contro il fumo. Lo Stato fa la cresta sui pacchetti di sigarette ma si preoccupa di far scrivere sulla confezione: “Nuoce gravemente alla salute”. Con la proliferazione dell’Islam che si fa? Si consente che aumentino a dismisura le moschee salvo a piantarci davanti un cartello che avverta: “Attenzione, con l’Islam buono ci potrebbe essere anche quello cattivo. Regolatevi”.

Aggiornato il 07 giugno 2017 alle ore 22:20