Immigrazione, criticità, buonismi

Entrare nella diatriba inter-istituzionale Regione Lombardia (Roberto Maroni) versus Comune di Milano (Beppe Sala) sarebbe come scivolare sugli specchi di una polemica che sarebbe di facile superamento, purché ci si ragionasse sopra, almeno un poco. Tanto più che la stessa presenza del presidente del Senato a fianco del sindaco e di tutti gli altri che si battono “pro migranti” sembra come stendere una coltre, un sapore di buonismo, su una faccenda a tutti gli effetti di portata storica che meriterebbe un approccio più riflessivo. D’altra parte, l’invito di Maroni al sindaco di rinviare la marcia sembra più un appello retorico che una chiamata intorno al tavolo propositivo e realizzativo sempre più indispensabile. Il fatto è che se non esistono soluzioni facili a problemi difficili, occorre pur chiedersi perché nell’ottica di una seria politica dell’accoglienza non ci si interroghi prioritariamente sulla quasi ovvia problematicità di una, non dico completa ma per lo meno possibile, integrazione, ponendosi sempre il tema della più che avvertibile e avvertita incandescenza della super questione del nostro tempo.

Diciamocelo una volta per tutte, del buonismo sono piene le fosse. In questo senso è probabile che il ministro Marco Minniti abbia, per così dire, messo tra parentesi messaggi e parole del genere cercando e trovando non tanto o soltanto una mediazione politica tra gli uni (Maroni) e gli altri (Sala, Grasso, ecc.), quanto e soprattutto una linea operativa di concretezza. La quale riguarda di certo una più equa distribuzione sul territorio dell’ondata immigratoria proveniente dall’Africa ma rivela un pensiero lucido di base, ovverosia che il cosiddetto messaggio di “solidarietà buonista” non bada molto a quello che oggi conta e che fa comunque la differenza, posto che nelle fasce più deboli della popolazione italiana solo un cieco ed un irresponsabile non riesce a cogliere, l’incidenza di un’immigrazione incontrollata sui già precari equilibri politici e sociali. Ed è singolare che nella vicenda della marcia milanese a farlo sia un ministro proveniente dal cosiddetto partito di lotta e di governo quello dal cipiglio per certi aspetti più “riformista” rispetto a Sala e Grasso di ben diversa provenienza (società civile).

E nell’anniversario della scomparsa del grande Marco Pannella, del “coraggioso leone della libertà e della laicità” come lo definivano i giornali britannici, ci sovvengono alcune sue battute istituzionali che da vero cane sciolto della politica italiana, ma con tanto di laticlavio senatoriale indosso per almeno due ore, ebbe a pronunciare un paio di anni fa, proprio a proposito di quell’onda africana di cui sopra. Si era improvvisamente rivolto agli imprenditori italiani i quali “invece di andare per il mondo, dalla Svizzera al Venezuela a Brooklyn, sbarcassero in Africa a fare impresa, e, se del caso, a coltivare la terra”.

Una provocazione? Forse. Un’indicazione solo scioccante? Anche. Gli è che, comunque, anche Pannella se ne impipava dei buonismi un tanto al chilo - come mostrò insieme alla stessa chiesa sulla fame nel mondo - invitando a guardare più in là, ma non per sviarci demagogicamente, ma, al contrario, per indicare a chi ne ha la forza e la volontà una via di concretezza e di impegno, al di fuori di ogni facile populismo. Anche per questo ci manca uno come Marco Pannella. E ci mancherà.

Aggiornato il 19 maggio 2017 alle ore 19:05