Lombardia, attenti al referendum!

Il presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni, guarda con occhio apparentemente distante dalla vittoria di Matteo Salvini alle primarie leghiste. Distante come per dire: io sto qua, nel senso latino del termine hic manebimus optime. E le primarie vinte? Bofonchiano i cosiddetti avversari di Maroni raccolti attorno al quasi, molto quasi, plebiscitato Salvini. Maroni non soltanto ha da replicare stando assiso su un trono lombardo che nessuno dell’alleanza di centrodestra gli contende - almeno per ora - ma ha tutta l’aria di giocare al gatto col topo sapendo innanzitutto che la vittoria di domenica non è così ampia come invece predicava il segretario, in rotta aperta coll’Umberto.

 

Il sovranismo-lepenismo sposato da Salvini è l’opposto del leghismo, del nord, del Lombardo Veneto e così via. Ed è, a detta degli osservatori, perdente. E poi ci sarà il referendum di ottobre sull’autonomia dei lombardi che non potrà non giocare un ruolo significativo. Maroni, insomma, ha dalla sua una stabilità che a quelli del nord fa molto piacere e, al tempo stesso, una posizione dalla quale il risultato della scadenza referendaria ben difficilmente lo potrà scalzare, anzi. Ma c’è un’altra questione emersa sia durante che dopo le primarie volute fortemente da Salvini, ovverosia una partecipazione di folla fermata al 56 per cento degli aventi diritto, il che riflette da un lato il non fortissimo richiamo salviniano e dall’altro il bossismo, sia pure di risulta, che ha raccolto poco in voti, intendiamoci, ma non altrettanto poco in chi non è andato ai seggi. Un’assenza massiccia, si capisce, che denuncia un indubbio stato di disagio interno anche e specialmente per la cosiddetta liquidazione, o quasi, del fondatore-simbolo della Lega, il quale ha fatto capire che potrebbe anche andarsene. Sullo sfondo il “mitico” referendum autonomista che sarà un’arma soprattutto per il governatore sia nel porsi, come è ovvio, guida governante di tutto rispetto e dunque forte, sia come eventuale “trattativista” con altre forze di opposizione che non sembrano molto affette di centralismo. Per esempio, Maroni potrebbe incalzare la sinistra milanese e il suo sindaco verso quell’area metropolitana da incanalare e risolvere sul piano legislativo dando un’indubbia conferma alle potenzialità e simbologie del Pirellone che resterebbe, sempre e comunque, un doppio simbolo caro ai milanesi: con la Madonnina da un lato e il Grattacielo dall’altro che guarda oltre i confini comunali.

 

La posizione maroniana, elastica in primarie nelle quali non ha nascosto sia lo scarso entusiasmo per i furori salviniani che una certa preoccupazione della marginalità del “caro Umberto”, è oggettivamente ancora più solida, dentro la stessa Lega. Tanto più dopo la dichiarazione di Salvini: “Io non caccio nessuno, ma il nostro movimento avrà un’unica voce e chi dice qualcosa fuori posto si può accomodare fuori dalla porta. Se poi qualcuno rimpiange la politica delle gite ad Arcore per le sue alleanze, io non sono fra questi. Silvio Berlusconi deve chiarire o con noi o con Matteo Renzi. O con la Lega o con Angela Merkel”. Che per il Cavaliere, invece “oggi è il leader più autorevole”, e che fare i lepenisti in Italia non rende, si finisce come in Francia perdenti. Tiè! E non ha tutti i torti. Maroni lo sa e il referendum sarà un’arma importante nelle sue mani.

Aggiornato il 15 maggio 2017 alle ore 19:48