
Centrale. Una volta era la Democrazia Cristiana, né più né meno. Questa sua qualità o scelta, era scambiata spesso per opportunismo e, diciamocelo, c’era pur del vero. Figuriamoci poi in un sistema ferreamente partitico e pure correntizio. Tant’è vero che, a proposito di correnti, quel tipo di centralità era assicurato già nell’interno di quel grande e grosso partito che, per avere sempre la bussola orientata sulla “c” come centro, necessitava di correnti ai due lati per dire così politici. Cosicché la sinistra come la destra, un Carlo Donat-Cattin non diversamente da un Mario Scelba (nome che ha originato lo scelbismo applicato alla polizia di Stato) garantivano una navigazione convergente: le convergenze parallele, appunto.
Fuori dal Partito, nel mondo delle obbligate alleanze per governare, il centro era comunque e sempre una meta assicurata da quel partito non tanto o soltanto perché conservatore strenuo di una linea politica quanto perché nessuna governabilità può essere prodotta in assenza di questo luogo magico cui convergere per acquistare credibilità in eventuali accessi governativi. Silvio Berlusconi aveva capito molto bene la lezione democristiana al punto che la sua Forza Italia, fin dagli esordi, ne ha assimilato e seguito uno dei principi più saldi per governare un Paese complicato porsi come elemento di coagulo di altre forze convincendole a smorzare i toni, a tagliare le punte più acuminate, a smorzare le urla, altissime e “nordissime”, come quelle dell’Umberto Bossi.
E, dopo più di vent’anni, siamo tornati allo stesso punto, a quell’hic manebimus optime che sempre da Berlusconi viene rivolto a una Lega non più bossiana ma salviniana le cui grida scissioniste e lepeniste sembravano fino a ieri risuonare. Fino cioè alla sonora sconfitta di Marine Le Pen che, come ha argutamente indicato il nostro direttore, ha imposto a sé stessa un cambio radicale trasmesso in automatismo a Matteo Salvini il quale, peraltro, ha a che fare con un Roberto Maroni che lo invita, insieme al Cavaliere, non solo ad abbassare i toni tanto sovranistissimi quanto inutilissimi, ma a riprendere i temi della Lega d’antan. Va da sé che un percorso del genere indirizzato al centro, non è né piano né in discesa, ma non se ne vedono altri utili alla bisogna, se si vuole cioè vedere al termine della salita uno sbocco premiato dagli elettori e governativamente competitivo. L’utilità, appunto. Demagogia e populismo sono a loro volta utilissimi per rimanere all’opposizione.
I maestri di questo genere squisitamente antipolitico - con la maschera dell’anti casta - sono i buontemponi (come li chiamava Benedetto Croce) con le loro “petulanti richieste, invettive, declamazioni e utopie per una sorta di aeropago composto di onest’uomimi ai quali dovrebbe affidarsi gli affari del proprio Paese”. Qualche somiglianza con il pianeta pentastellato, oppositorio per eccellenza, è riscontrabile, ma in peggio con quel suo indefesso allarme sui traffici mafiosi di immondizia carica di veleni, le catastrofi e i complotti incombenti, le cospirazioni affaristiche contro la salute, la minaccia dell’amianto mortale e delle scie chimiche spaventose, dei vaccini rischiosi, degli Ogm, delle micidiali onde elettromagnetiche e così via. Eppure qualche segnale, piccolo piccolo, un’inezia ma indicativa di un tentativo di inserirsi nel gioco utile, e dunque politico, è riscontrabile almeno in un paio di esternazioni, a proposito della Boschi, della quale non si chiedono più le dimissioni “tout court” ma il ritiro delle deleghe di governo, che è poi il dire e non dire ma insomma, e l’altra riguarda l’apertura alla discussione in merito alla nuova legge elettorale. Piccoli, piccolissimi, sussurrati segnali di una convergenza, sia pure sui generis e, soprattutto, non disinteressata. Comunque occhio alle curve.
Aggiornato il 15 maggio 2017 alle ore 15:12