Diritto di emigrare, non dovere di accogliere

Talvolta, càpita rarissimamente, il talento letterario di Giuliano Ferrara sopravanza e sopraffà il suo spirito critico: una gara ammirevole perché ad altissimo livello, l’uno e l’altro. Lo dico da ammiratore. Nell’articolo su “Il Foglio” del 1° maggio è capitato. All’editoriale “Quel ‘fuocoammare’ dovrebbe salvarci dall’autodannazione” Giuliano Ferrara ha affidato la vibrante esaltazione dei salvataggi e dei salvatori dei disgraziati che i negrieri gettano in mare, con o senza gommoni. “Un esteso traffico criminale” lo chiama esattamente il Nostro, che precisa: “L’azione dispiegata nel Mediterraneo, sulle rotte dell’esodo biblico e della disperazione e dell’intermediazione losca, rotte che sono una bara d’acqua per migliaia e migliaia di dannati della terra e del mare, è una delle più alte testimonianze di civiltà e di cultura e di umanità che la nostra storia ricordi. L’unico paragone che mi viene in mente è lo sforzo di salvare gli ebrei dalla deportazione che misero in opera i giusti oggi ricordati e santificati dalla memoria... tutto questo è onore e gloria dell’Europa e dell’Italia, della marineria e della società civile, del mio Paese più bello”.

Che vi dicevo? Puro talento letterario. L’empito persino poetico del Nostro scavalca i fatti mentre l’ispirazione artistica eleva il racconto. Il suo paragone con i “giusti” che salvarono gli ebrei in fuga dalla persecuzione perpetrata dai nazisti, dai fascisti e dai loro simpatizzanti, nonostante tutto e tutto considerato, pare tuttavia un abbaglio bell’e buono. I “giusti” erano consapevoli di rischiare la loro vita per salvare la vita di ebrei tanto incolpevoli quanto vittime. I “giusti” sono “ricordati e santificati dalla memoria” perché furono eroici. Misero a repentaglio se stessi e quante volte ci rimisero, in ogni senso! Per quanto alta sia “la testimonianza di civiltà e di cultura e di umanità” che offrono la Marina militare, le Capitanerie di porto, le marinerie private, le organizzazioni non governative, i loro salvataggi sono intrepidi in modo incommensurabilmente diverso e in grado incommensurabilmente minore di quelli davvero eroici che dettero speranza e vita agli ebrei. O no?

Dunque il paragone del Nostro è sbagliato, almeno tre volte. Primo, perché i salvatori adempiono ad obblighi e regole professionali (i militari), legali (norme sulla salvaguardia della vita in mare), associativi (organizzazioni umanitarie). Secondo, perché i salvati non sono affatto assimilabili agli ebrei minacciati di sterminio, neppure alla lontana e per enfasi retorica. Terzo, perché i salvataggi somigliano all’attività amministrativa statale e parastatale che deve essere, proprio perciò, esente il più possibile da incidenti sul lavoro, mentre nessuno garantiva i “giusti”, che operavano a proprio rischio e pericolo. Il diritto di emigrare esiste, ma non esiste il dovere di accogliere, addirittura predisponendo la rete di salvataggio. Se la migrazione viene giudicata alla stregua di “esodo biblico”, può essere trattata con criteri religiosi? Un machiavelliano come Giuliano Ferrara mostra un intenerimento così fervido da richiamare le pastorali di Papa Francesco. Qualsiasi persona ben nata aiuta gli altri senza tornaconto personale, nei limiti del possibile. Ma il buon samaritano non è un esempio di governante perché l’etica dello Stato non risiede nello Stato etico. La vera nobiltà politica consiste nella capacità di presagire e governare le conseguenze inintenzionali delle azioni umane. È moralmente giusto salvare uno che è in pericolo. Ma è moralmente ingiusto, con l’intenzione di farglielo scampare, indurne altri a cadervi, alimentandolo. A tacere che la virtù dei salvatori costituisce bensì il bene dei salvati ma anche il male dei contribuenti italiani sulle cui spalle i salvatori li scaricano senza permesso. E questo disfarsene a spese altrui è molto, molto poco virtuoso.

Aggiornato il 09 maggio 2017 alle ore 15:29