Grillismo a lezione di liberalismo? Figuriamoci

Siccome la libertà consiste nel poter fare e dire tutto ciò che non nuoce agli altri, il Movimento 5 Stelle e il suo indiscusso capo utilizzano, della frase suddetta, soltanto la prima parte, così, tanto per fare in fretta e, soprattutto, per fare “buh” a quelli che non sono in linea col Beppe Grillo-pensiero (e azione). Il fatto è che dire e fare ciò che si vuole comporta oltre che un minimo di memoria almeno un pezzettino di onestà verso se stessi e gli altri, evitando di cadere nelle più vistose contraddizioni o antinomie che dir si voglia. Delle quali un florilegio è stato evidenziato da un arguto Mattia Feltri, l’altro giorno, fra cui spiccava un impagabile e doppia affermazione sull’Euro: “Non ho mai detto di uscire dall’Euro” diceva Grillo nel febbraio del 2013, sempre lo stesso Grillo, ma nel dicembre dell’anno successivo: “Il problema vero non è uscire dall’Euro, è uscire il più velocemente possibile”.

Ce ne sarebbero altre di contraddizioni, dal vaccino all’immigrazione clandestina, dagli avvisi di garanzia sia da rispettare che da passarci sopra, a seconda delle convenienze, si capisce, ma anche con la saccenteria minacciosa di chi dell’essenza del liberalismo se ne fa un baffo: verso gli altri, cioè noi, cioè gli italiani. Certamente un corso di liberalismo potrebbe essergli utile, magari dando ascolto a quello che il nostro giornale col suo direttore ha sostenuto auspicando la strutturazione di un’area liberale e una costituente per le riforme. Figuriamoci. Grillo e i suoi sono fatti così, cioè male. E purtroppo, dando il cattivo esempio, dilagano in un Paese dove il mercato della paura, del malessere e della protesta è quotidianamente aizzato. Populista, capopopolo, caporione, agitatore, sobillatore, arruffapopoli, e chi più ne ha più ne metta. Ma c’è la cosiddetta variazione sul tema, posto che il fare politica nell’accezione grillina consiste innanzitutto in una doppia valenza, che per il boss supremo è affermare un giorno una cosa e pontificarne il giorno dopo l’opposto.

La variazione è una specie di costante dell’eloquio politico dell’ormai leggendario, tipo export, Luigi Di Maio il quale, da Boston e in un’intervista a “La Stampa” ha magistralmente disvelato la tecnica del “sì, però”, la neogrammatica politica del “no, purtuttavia” in una serie di constatazioni apodittiche che camuffano un’affermazione con un un’aggiunta sminuente se non opposta ma sempre e comunque tesa ad apparire esperti, informati e politici “comme il faut”, maestri del sapere antico e moderno della Polis. Un paio di esempi. Sull’Europa. Si dichiara europeista, l’ottimo vicepresidente della Camera dei deputati, ma occorre un referendum sull’Euro. Respinge le influenze putiniane ma sono contro le sanzioni. Sull’Isis, che è l’Isis, critica la strategia di guerra all’Isis perché sarebbe meglio togliergli i viveri. Sulla Libia, i Paesi che vi hanno interessi petroliferi non possono mettere insieme le tribù e le varie comunità locali, meglio Cuba e il Venezuela. E via così. Ma fino a dove?

Aggiornato il 05 maggio 2017 alle ore 18:40