
Si sa, la Casta è sempre sotto tiro e non soltanto dei magistrati che pure, del tiro al piccione, ne sono il principale fomite. Ma se la ricapitoliamo con un po’ di buon senso - elemento latitante dentro e fuori la politica, dentro e fuori i mass media - la vicenda di Augusto Minzolini (“Minzo” per gli amici) senatore di Forza Italia ma, soprattutto, fra i nostri più validi e brillanti professionisti della carta stampata o meno, ci accorgeremmo che il comportamento di una parte consistente dei nostri senatori ha avuto non soltanto paura dei tiratori - in toga - al piccione politico, ma di chi, come il Movimento 5 Stelle, li sta sostenendo per dir così fuori ruolo.
Che significato ha infatti la seconda votazione senatoriale, decisiva per Minzolini, che ha rovesciato letteralmente la prima? Ed entrambe a scrutinio segreto? Uno solo: paura di Beppe Grillo e, ovviamente, di future quanto probabili iniziative giudiziarie. Dio ce ne scampi e liberi, si sono detti quegli oltre cento votanti contro in Senato. Una paura, va da sé, potenziata da non pochi mass media, fra cui alcune trasmissioni dello stesso coté politico dell’ormai ex senatore che brillano per demagogia e per populismo. Contro l’immonda Casta, “of course”.
Della vicenda minzoliniana ciò che più avrebbe dovuto attirare se non l’attenzione almeno la lettura delle carte processuali, non sono soltanto le insufficienze delle stesse, l’entità di una pena che in quanto superiore di un paio di mesi ai due anni ha prodotto la decadenza ope legis Severino, quanto la passata partecipazione parlamentare di uno dei giudici alla parte politica avversa a quella di Minzolini cioè di Silvio Berlusconi. Non sarà stata una sentenza politica, ma un fortissimo sospetto resta, eccome. Anche qui un minimo di stupore avrebbe dovuto insorgere nei “condannandi”, lo stesso che ne aveva convinto la prima volta una ventina a dire no alla cacciata del collega e che ora hanno avuto un’ispirazione divina per cambiare idea. Le carte erano e sono le stesse, il Senato pure, e dunque soltanto un essere superiore avrebbe potuto capovolgere una decisione presa, per l’appunto, nel segreto dell’urna dove “Dio ti vede, Stalin no!” come recitava un intramontabile slogan del 1948. Certo, ai tempi di Alcide De Gasperi e del Fronte era immaginabile l’intervento di una mano di Dio per sconfiggere, col voto, la grande paura del comunismo e di Stalin, ma oggi quella manina è stata sostituita dalla stessa paura ma non di Stalin, di Grillo; non del comunismo, del populismo.
Dall’alto di questa nuova devastante ondata di demagogia, il comandante supremo pentastellato in compagnia a volte dell’uomo che, in quanto Vicario di Cristo, è, per i fedeli, la stessa mano del Padre, attendeva l’assoluzione senatoriale per scatenare l’ennesima devastazione di quanto resta della nostra democrazia rappresentativa; e della dignità, che dire residuale è un complimento, della maggioranza dei senatori. Un’ulteriore brutta pagina, si vorrebbe aggiungere, scritta da una politica che ha perso la cognizione di se stessa, della propria dignità, del proprio ruolo e della propria autonomia. Per paura del nuovo Stalin che s’erge minaccioso col suo grido più chiaro e forte: “vaffanculo!”. Stavolta, però, chi ha vinto davvero è colui che ha perso, il bravo e dignitosissimo ex senatore. Forza Minzo!
Aggiornato il 26 aprile 2017 alle ore 15:26