
Intanto: ma Matteo Renzi ce l’ha davvero un’agenda politica? La domanda non sembri peregrina e/o provocatrice perché delle mosse dell’ex premier si conoscono in questi mesi, e cioè da quando ha perso referendum e Governo, solo segnali contrari ai suoi ex colleghi tipo Pier Carlo Padoan e Carlo Calenda, e anche ai suoi ex amati tecnici fra cui, udite udite, il direttore generale della Rai, questo nell’ultimo inciampo buttatogli fra le gambe da “Report”.
In sostanza, ciò che prevale nel pensiero immediato di Renzi è il “côté” economico, e allora dagli al Padoan a proposito dell’Iva e critiche severe allo stesso Calenda, due ministri che proprio lui ha voluto che dipanassero la fragile tela della nostra economia. Intendiamoci, mettere a posto i conti sarebbe già un’impresa ciclopica poiché qualsiasi manovra per una ripresa consistente non può che partire dalla messa in sicurezza delle cifre reali.
Ma questo è il punto: il frequente semaforo rosso posto dall’ex Presidente del Consiglio sul cammino dei due responsabili solo apparentemente si ferma lì, sia alle scelte imminenti da compiere sia, soprattutto, al futuro dello stesso Governo Gentiloni. Il premier, appunto, e sullo sfondo lo stesso capo dello Stato, Sergio Mattarella. Possiamo sbagliare, ma l’essenza vera, ciò che sta alla base di non pochi atteggiamenti renziani insopportabilmente populisti, a noi sembra consistere in una sorta di voglia di rivincita (se non addirittura di vendetta) per chi gli ha impedito di realizzare il suo vero disegno dopo la sconfitta: le elezioni anticipate. Le quali, a ben vedere, non sono così escluse dall’agenda renziana, quella che conta oggi, anche e soprattutto perché l’Esecutivo non gode di un’effettiva stabilità in un Parlamento come questo dove, spesso e volentieri, si nota molto di meno l’attivismo di un Partito Democratico sconquassato da scissioni e molto di più, anzi fin troppo, la tonitruante escalation grillina mixata di insulti anti-casta e vaneggiamenti propositivi fini non a se stessi ma alla messa in stato d’accusa del Governo e dei suoi sostenitori, con la mira specialmente verso i piddini, e poi via via tutti gli altri.
Certo, perché il traguardo finale che Beppe Grillo persegue, sulla base innanzitutto del disprezzo totale per il poco che resta della Polis di oggi, è proprio quello di fare piazza pulita di tutti (ma proprio tutti) i politici di oggi, ovvero la casta, infischiandosene tranquillamente di programmi e progetti degni di questo nome ma, al contrario, buttando in pasto al “poppolo” una sfilza di intendimenti non solo contraddittori coi precedenti ma privi di qualsiasi proposta effettuale, a parte vitalizi, costi della politica e reddito di cittadinanza. Il populismo sta proprio in questo. Ma le urgenze del Paese vero non erano, sono e saranno il suo rilancio economico, la sua ripresa riformatrice a cominciare da una nuova legge elettorale, il suo futuro degno della sua storia in una Unione europea rinnovata, il suo presente con una politica che riacquisti credibilità e dignità tali da contrapporsi al devastante pericolo incombente?
La politica della vendetta non porta mai niente di buono a chi la persegue ma, al contrario, finisce spesso col dare una mano decisiva proprio al nemico nella misura in cui la voglia di rivincita, dimenticando la progettualità, conduce il voglioso dotato di insopprimibili venature populiste, prima alla subalternità all’avversario e poi alla sconfitta. Giacché sul piano del populismo, del dagli alla casta ladrona, dell’assistenzialismo da quattro soldi nella versione Luigi Di Maio e così via non c’è trippa per gattini renziani, solo per grillini.
Aggiornato il 26 aprile 2017 alle ore 13:46