Anche un bambino capisce che un titolo sulla madre di tutte le bombe, per di più di stampo trumpiano, sganciata sui micidiali tunnel dell’Isis in Afghanistan, fa notizia. Lo stesso dicasi della vendita del Milan ai cinesi, bomba niente affatto distruttiva e mortale ma indubbiamente ghiotta, persino oltre un interista fazioso come me che non vedeva l’ora di attuazione. Dunque siamo pari, verrebbe voglia di aggiungere se non fosse che, sia la madre di tutte le bombe che la sua collega calcistica, andrebbero lette, se non con un massimo, almeno con un po’ di attenzione non foss’altro perché entrambe non sono per niente casuali, non derivano cioè da irosi scatti di rabbia o da delusioni e nostalgie del bel tempo (milanista) che fu.
In altri termini, entrambe le scelte seguono un ragionamento, una logica, una consequenzialità, in modo particolare quella compiuta dal successore di Barack Obama pur inquadrandosi all’interno di una dimensione da rischio - nel senso che provocherà inevitabili bombe terroristiche “au contraire” per di più contro ignari e innocenti parigini, romani, londinesi, newyorkesi, e così via - segue una sua consecutio temporum che soltanto i faziosi antiamericani, coi pacifisti a senso unico, continuano a negare. Il punto è, semmai, se la madre di tutte le bombe costituisca o meno la risposta migliore al dilagare del terrore islamico. In questo caso qualsiasi sia la cautela nel ragionamento, non deve o dovrebbe sfuggire il fatto, non l’opinione, che una risposta a questo dilagante cupio dissolvi di kamikaze, bombaroli e terroristi in servizio permanente effettivo, cui una nazione come l’Iran, tanto per dire, guarda con occhi che definire di simpatia è cieco seppure nefasto ottimismo.
Di certo il gesto di Donald Trump non può che, da un lato rendere ulteriormente tesa una situazione mondiale fra potenze come Russia, Cina e mettiamoci pure Europa-Nato, ma dall’altro possiede per lo meno la chiarezza del gesto esemplare inquadrato in un continuum organico, segnalato, fra l’altro, dalla gigantesca portaerei in viaggio nei dintorni dei mari della Corea del Nord. In realtà Trump dimostra di essere diverso, forse fin troppo, dal suo predecessore Obama e comunque sta scrivendo un capitolo nuovo nella vicenda gravissima del terrore islamico sparso a pieno cui le pause di silenzio e di attesa paurosa hanno di fatto bloccato qualsiasi iniziativa e non soltanto dell’Onu, figuriamoci, ma delle stesse grandi potenze. Le quali, dalla Cina alla Russia e alla stessa Europa saranno costrette sia ad aprire gli occhi davanti a questa minaccia, sia a comprendere fino in fondo che la guerra mondiale avviata dall’Isis non può più fermarsi ai silenzi di prammatica o alle dichiarazioni di semplice condanna, ma spingere a un coordinamento più stretto tenendo presente che terrore, fanatismo e razzismo sono tanto più imperanti e duraturi quanto meno è visibile e attuabile una reazione del mondo minacciato. La lezione dell’indifferenza e dei silenzi sul nazismo che poi decise di invadere mezza Europa con la svastica, gasando sei milioni di ebrei, è sempre attuale, anche se il quadro mondiale è cambiato.
Già, il quadro. È la stessa faccenda riguardante il Milan venduto dal Cavaliere ai cinesi. Una notizia bomba, come si diceva. Ma anche in questa decisione c’è una riflessione che va ben oltre la comprensibile tristezza di un Silvio Berlusconi che ha letteralmente compiuto un’epopea col “suo” Milan e con le “sue” tre reti televisive. Adesso, lo ha scritto lui stesso, il quadro è cambiato; il calcio è diventato un’altra cosa, anche grazie alla sua epopea che, tuttavia, ha ormai un valore storico ed è costretta a fare i conti con un cambiamento che impone ai grandi club mondiali non più i solitari padroni e tycoon, ma un insieme di soci, una solidità di alleanze multiple, un impegno di risorse imponenti. Il mondo del calcio è ben diverso da quello che il Cavaliere contribuì a rendere affascinante dal 1986, col Milan e non solo. Giù il cappello, anche da parte di un interista partigiano.
Aggiornato il 02 maggio 2017 alle ore 23:24