
Chi l’avrebbe mai detto che un giudice - soggetto venerato dell’unica casta che Beppe Grillo accetta al suo fianco, o anche dentro, la propria - avrebbe cassato una delle solite iniziative padronali dell’ex comico genovese, instaurando un clima di trasparenza all’interno di un movimento dove comanda uno solo e che sembra, almeno nei sondaggi, tendere a un successo trionfale. E, ovviamente, per chi come noi ha sempre criticato duramente l’intromissione di pubblici ministeri e giudici vari nella politica, l’esito della questione Cassimatis non può non produrre qualche “frisson”. Ma tant’è.
Ferve, dunque, il dibattito a proposito di liste elettorali, dentro e fuori del partito. Visto il clima di ventennale distrazione, verrebbe voglia di ironizzare di “dibbattito” (con due b) se non fosse che il tema è, fra tutti gli altri della politica, il più delicato. Certo, la vicenda di Marika Cassimatis è tutta da analizzare e, alla fine, da godere almeno per chi come noi ha sempre e comunque diffidato della propaganda giustizialista di Grillo e dei suoi agit-prop, sempre o quasi a proprio uso e consumo. Come dice il proverbio: tanto va la gatta al lardo... Nel caso grillino, il lardo è per l’appunto il giustizialismo come arma prescelta contro gli avversari, e di colpo rovesciatasi come un guanto o una sberla in faccia contro il líder máximo.
Peraltro, l’analisi suppletiva del caso Cassimatis dovrebbe essere compiuta da larga parte del circo mediatico-giudiziario che da un quarto di secolo domina il palcoscenico pubblico e che dopo questo lasso di tempo dovrebbe per lo meno compiere un qualche gesto di mea culpa, giacché dalla distruzione dei partiti della Prima Repubblica all’enfasi pro-grillina di oggi la costante non è stata, come vogliono credere e farci credere, l’antipartitismo, bensì l’antipolitica tout court. E chi più di Grillo rappresenta questa dimensione pubblica, dall’alto di un consenso elettorale certamente spropositato sol che si pensi all’impressionante profluvio di lodi mediatiche in sottofondo, ma destinato a contrazioni tanto più probabili quanto più avanzeranno possibili riduzioni di quel coro.
Comunque la si giri, la questione della candidata grillina vincitrice delle primarie poi depennata da Grillo e di nuovo reinsediata dalla magistratura e poi si vedrà, è una parabola istruttiva (comunque vada a finire) della sindrome da leadership - non sfuggita peraltro al nostro direttore quando ne ha tratteggiato il dualismo Renzi-Grillo - che pone rischi democratici agli altri ma anche a se stessi, purché, ovviamente, siano capaci almeno di prenderne atto. C’è sempre e comunque la forza delle cose che sta alla base di ogni parabola, soprattutto nel caso suddetto e che ci narra di un Movimento Cinque Stelle al cui vertice, all’unisono col capo supremo, lo sport preferito è quello di mettere sotto le proprie scarpe (per calpestarli) gli stessi principi democratici che i “Dibba”, i Di Maio e i Taverna giurano di difendere dalle minacce dei corrotti e disonesti partiti, ovviamente inneggiando alla forca e alla gogna da tivù e giornali che si prestano alla bisogna, più o meno dal 1992. Da adesso, dalla vicenda Cassimatis, quell’urlo potrà essere interrotto e restituito al mittente da un semplice movimento delle labbra, con relativo suono: il re è nudo! Hai visto mai?
Aggiornato il 27 aprile 2017 alle ore 17:19