Mandare a casa il Senato o il Premier?

Alla fine, e anche un po’ prima, e persino con l’aiutino del Premier, il vero quesito del referendum è diventato: volete mandare a casa il Senato o Matteo Renzi? È fin troppo evidente, in un contesto come l’attuale, la tentazione di obbedire alla seconda più che alla prima richiesta, anche se, come ha saggiamente avvertito il nostro direttore, che vinca il “No” non è affatto certo. Ma, sempre seguendo il filo del “Sì” e del “No” detto sopra, non sarà così semplice risolverlo a favore del Presidente del Consiglio. Capita, nei referendum. Lo sapeva il grande Marco Pannella con la sua lucida schematizzazione sempre accompagnata da confessioni e riflessioni, senza mai scivolare nell’insulto all’avversario, anche quando costui supplicava pubblicamente l’Altissimo di far tacere la blasfemia radicale su divorzio e aborto.

L’insulto, ecco quello che ha predominato in questa campagna dalla durata insopportabile, esattamente come insopportabili sono diventati i talk-show in televisione, chi più chi meno, che l’hanno per dir così infiorata. La televisione, insomma, l’ha fatta da padrona in una vicenda trasformatasi in un duello all’Ok Corral, anche perché, a ben vedere, il luogo della sfida mortale, spostava il luogo dello scontro mortale dal leggendario saloon alla sua brutta copia italica: l’osteria. E la televisione ci ha messo del suo, e anche molto, in questa metamorfosi in peggio. Giù sempre più giù verso il trash. Naturalmente, più vero problema non è mai stato la tivù in sé, come medium “par excellence”, ma un certo modo di guardarla, leggerla, negarla o, soprattutto, di esasperarla.

E qui entra in gioco il conduttore del talk-show, un deuteragonista assurto irresistibilmente al ruolo di protagonista, di politico. Siccome non vogliamo, benché ci prudano le dita delle mani, mettere al muro nessun conduttore né stabilire graduatorie nel peggio, soffermiamoci sul quadro generale offertoci dalla televisione dei talk-show che, tanto per intenderci, non è una sottospecie del medium ché la sua indispensabilità e invasività in politica eleva il talk allo stesso livello, senza parlare di audience, di “House of Cards”, del “Grande Fratello”, de “La Talpa” dei quali, anzi, si fa volentieri succursale e, al tempo stesso, suggeritore, col sospetto che il conduttore anziché mediatore diventa protagonista. Sarà, anzi è, affatto trash la tivù di moltissimi talk, ma è pur sempre la stessa matrice, lo stesso organo riproduttivo e produttivo di immagini ed emozioni quale solo la televisione può mostrare.

Del resto, l’inevitabilità del politico nel talk deriva in larga misura dalla massima: “l’ho visto in televisione” intesa come garanzia del vero, del verum ipsum factum, laddove l’unico fatto è la trasformazione del dibattito in una rissa costante in cui la logica dell’urlo tradisce più o meno consapevolmente l’essenza del confronto, il suo sale, che è poi il più autentico contenuto della democrazia. Secondo la tesi del francese Dominique Moïsi, ricordata opportunamente da Fabiana Giacomotti, tutta o quasi la programmazione televisiva, compresi ovviamente i talk-show, visita, rivive e restituisce una sorta di geopolitica dell’emozione, della paura del terrorismo e dell’immigrazione in Italia, della felicità della crescita in Asia, della negatività esistenziale nel mondo arabo. Ma se nella fiction e nei reality la sceneggiatura imposta un dibattito condiviso come non mai proprio perché esiste il filtro della fiction, della finzione, dello spettacolo pur influenzando in profondità i comportamenti degli stessi politici, la conduzione e la realtà del talk ritraduce in un’altra chiave quelle emozioni.

Nel senso che il politico di turno - pur sempre nutrito dalle suddette fonti di ispirazione utilizzate anche per sondare le tendenze del pubblico, cioè dell’elettore - si è convinto sempre più dell’uso mediatico (“l’ha detto la tv”!) per far passare per slogan (urla, sovrapposizioni di voci, litigi, volgarità, disprezzo dell’avversario, insulti) “un messaggio forte a un pubblico incapace di seguire un’analisi sofisticata o non interessato a farla”. Giacché una minaccia, una bufala, una bugia gridata nel talk evita di affrontare qualsiasi argomento complesso nella complessità della Polis.

Sicché, alla fine dell’estenuante maratona di questo referendum, il vero, l’unico, il più autentico dei temi è stato ed è, almeno fino al 4 dicembre: ma quale Costituzione, mandiamo a casa il Senato, anzi no Matteo Renzi. Anche perché tutti e due non si può. Forse...

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:03