
C’era, lo dicono un po’ tutti, una maggioranza silenziosa a premiare il sottovalutato dai sondaggi Donald Trump contro la supervalutata Hillary Clinton, ma più che silenziosa era rumorosa se non urlante, dato il tipo di candidato. Accettiamo dunque l’adagio famoso “the silent majority is back/and we’are going to take our country back”, come a dire: ci riprenderemo il Paese grazie alla maggioranza silenziosa. Se la proverbiale esaltazione della “silent majority” ha funzionato in Usa, perché non usarla in Italia, si deve essere chiesto Matteo Renzi a Palazzo Chigi leggendo e rileggendo le ultimissime rilevazioni che lo danno indietro dai cinque agli otto punti rispetto al “No”?
Ora, siccome le cose non vanno sempre per il verso giusto tanto più se d’importazione, il fatto è che il tema di queste ultime settimane diventa per quelli del “Sì” il recupero di una quindicina di milioni di indecisi, anche se l’operazione non sembra così semplice. Ma quale operazione politica lo è, posto che Renzi ha fatto di tutto per caricare il referendum di una “chiamata di Dio”, o me o il caos, senza riflettere non tanto o soltanto sull’errore in sé del richiamo vagamente napoleonico, quanto, soprattutto, sulla mancata, attenta osservazione del ruolo del web in queste vicende. Per lui decisiva, nel senso che se la perde, va a casa, come del resto annuncia tutti i giorni, anche alla faccia dell’ineffabile Pier Luigi Bersani che non più tardi di ieri gli ha mandato un messaggio soft: rimani pure al Governo, anche se perdi, sia pure un pochettino acciaccato: la lezione ti farà bene. Ma quando mai! Figuriamoci.
Il web dunque e la caccia degli indecisi. Dopo un sogno che ho fatto (solo con questo referendum ho cominciato a credere a sogni e auspici, chissà perché…) con un Renzi trionfante il 5 dicembre e al suo fianco un Cavaliere con fazzoletto sulla bocca ma con gli occhi niente affatto piangenti, anzi, e con sullo sfondo della scena sognata un grande schermo con Internet al lavoro. Cosicché mi sono anch’io concentrato sulla cogenza del web, se non addirittura, sulla sua irresistibile forza impositiva, ripensando al McLuhan de “Il medium è il messaggio” ma non nel senso ironico insinuato da Ennio Flaiano secondo il quale, se le cose stanno così, tanto vale leggere il postino, ma sforzandomi di comprendere la portata del medium onnipotente: il web; alla luce, non soltanto dell’uso più che abile che ne fece Casaleggio padre, ma delle riflessioni degli analizzatori della vittoria trumpiana. Ai quali, tra l’altro, è uscita una delle più felici intuizioni sullo stato delle cose elettorali e dei suoi risultati in Usa, dovuto soprattutto alla “post-truth”, che secondo l’Oxford Dictionary attribuisce al “dopo verità” il ruolo di parola dell’anno e il significato di un clima diffuso fra la gente, contraddistinto bensì da una ventata mondiale di populismo cresciuto non sui fatti in sé ma sull’onda delle emozioni, delle sorprese, degli inganni, degli slogan non veritieri, dei racconti fiabeschi, delle accuse non verificate; insomma della nuova verità imposta dal web, con cui la non improbabile cyberdemocracy si opporrebbe alle oligarchie intellettuali, ai politici corrotti e di professione, all’establishment prenditutto, ecc..
Ora, se le cose stanno così - ma qualche critica ci vorrebbe e la faremo prima o poi - non credo che a Renzi il compito del recupero di milioni di indecisi via web sia così facile, convinti come siamo che a molti di questi incerti della cyberdemocracy non gliene può fregare di meno rispetto alla pensione, alle file alla sanità, al costo degli affitti, ai prezzi in aumento ecc.. Renzi, crediamo, userà di certo Internet ma col sospetto che oggi sono quattro o cinque gruppi internazionali che governano tutte, dico tutte, le informazioni, anche personali oltre che politiche e sono dunque in grado di manipolarle con verità diverse; ma avrà, soprattutto, la massima cura a fare del suo populismo - diverso, più raffinato di quello altrui, anche perché sta al governo - un elemento di pressione, magari con qualche trovata tipo gli ottanta euro alle “Europee” allora tanto decisivi per vincere, che la “sua” Maria Elena Boschi sì è lasciata scappare in un talk-show, se perdiamo, date l’addio a quelle sommetta. Voce dal sen fuggita…
Sarei dunque un po’ più cauto rispetto a quelli del “No”, un’armata pluricolore, con soggetti distinti e distanti, con l’oggettiva incapacità di porsi come alternativa almeno di governo, per la contraddizione che non consente fra un Renato Brunetta e un Beppe Grillo, per dire. Impresa non facile, quella di Matteo in tempi di “non-truth”. Anche perché, qua e là, non gli è affatto dispiaciuto usarla, la non-verità.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:03