Referendum, da Craxi a Pannella fino a Renzi

Si fa presto a dire che Matteo Renzi si ispira al “decisionista” Bettino Craxi a cominciare dalla super-questione del referendum, assai personalizzato questo renziano, esattamente come quello sulla scala mobile. In entrambi i casi i due premier affermarono che, in caso di sconfitta, sarebbero andati a casa. A parte il fatto che Renzi ne deve ancora mangiare di polenta per diventare un leader come Craxi, costui il referendum sulla scala mobile lo vinse. Ma, quel che conta, era ed è, che quel referendum era stato proposto dai comunisti per mandare a casa Craxi. Ed è qui che sta la vera, grande differenza. Renzi non ha ancora capito bene l’arma totale insita nel termine referendum. Oltre che Craxi, non conosce Marco Pannella. Noi abbiamo sempre sulla bocca e sulla penna e nel ricordo il grande Marco, non solo o non tanto in quanto tale, ma, soprattutto, perché inventore del referendum postmoderno, del suo più vero significato, delle sue più autentiche finalità storiche e politiche che richiamano il dettato del Cristo: “Sia invece il vostro parlare sì sì, no no”.

Referendum come occasione, in un certo senso, di comunione mistica per gli aderenti all’affermazione o alla negazione altrettanto decisa. Ma adesso, che parlare si fa, dove sta il memento di Pannella, cosa combinano i partiti fantasma, uno non a caso, il Partito Democratico? E la sua minoranza, insieme, a volte, con la maggioranza con in capo Renzi? In genere si fa bene a buttarla nell’ironia, e noi ci proviamo, sia pur non all’altezza delle fulminanti quattro righe su “La Stampa” della Jena che, quasi sempre, colpisce e affonda. Come a proposito della minoranza del Pd, “a questo punto la minoranza ha due possibilità: o resta minoranza dentro, o diventa minoranza fuori”. Geniale, vero? Dentro o fuori dal suo partito la minoranza di Pier Luigi Bersani and Company non potrà mai, matematicamente, assurgere al trono di un’alternativa possibile e credibile al Pd stesso, tant’è vero che in queste ore il gruppo dei non votanti dell’altrieri ha deciso di entrare in un modo o nell’altro nel comitato sull’Italicum proposto da una sorta di mediazione (termine che lui, invero, aborre) di Renzi. Non avevano partecipato alla votazione significando, per chi mastica politica, che una trattativa col presuntuoso Premier era già in corso. Come andrà a finire?

“Quién sabe”, soprattutto per via di un Pd che dà l’esatta idea di che cosa sia il caos in un partito (caos che regna anche a destra, beninteso), al governo e di sinistra, o almeno così si spaccia, a cominciare dalla sua minoranza con in testa, oltre a Bersani, il leader Massimo D’Alema. Caos più o meno governato, ma sempre di caos si tratta, tanto più se a contribuirne la crescita, a volte persino l’incredulità, è lo stesso Premier nonché segretario del partito: del caos, appunto. Non stiamo qui a ricordare quante volte il Bersani del “no” di oggi ha detto il “sì” di ieri alla riforma costituzionale, imitato nella fattispecie da non pochi del centrodestra, ma almeno questi stanno all’opposizione.

C’è però un inizio, un “ab origine” (Tacito) della vicenda di questo referendum che va chiarito, soprattutto ai pidiessini, quelli dentro e quelli col piede - si dice ma non ci crediamo - fuori. Quando infatti Renzi dalle vette della sua immarcescibile presunzione scandì che il risultato del suo referendum sarebbe stato un “sì” o un “no” a lui e al suo governo, minacciando di andarsene in caso di sconfitta, compì un duplice misfatto: offrire l’occasione all’opposizione di mandarlo a caso col pretesto referendario e di svuotare, al tempo stesso, un referendum costituzionale importante proprio perché ridotto ad un pretesto dal suo stesso proponente. Peraltro, il combinato disposto dell’articolato non contiene il benché minimo slancio di passione, a cominciare dalla riedizione di un finto Senato, quando sarebbe bastato un articolo unico di un “sì” o un “no” alla sua archiviazione, per vincere a mani basse.

Errori di contenuto e di comunicazione. Pannella, se ci sei, batti un colpo! Ne abbiamo già parlato, ne parlano in tanti, e pure del tardivo pentimento renziano alla personalizzazione, che resta, non foss’altro perché Renzi è ubiquo, in tivù e nelle piazze, da nord a sud evidenziando non soltanto la carenza di una squadra vera e propria e, tanto meno, di un vivaio, ma di personaggi politici mediaticamente forti, a parte forse Maria Elena Boschi (più bella che brava in televisione). Certo è più facile fare presa con un “no” che tiri in ballo parolone tipo democrazia, libertà, Augusto Pinochet e Benito Mussolini, magari accennando all’olocausto hitleriano come metafora della variabilità del termine, così caro a Renzi, del “cambiamento” costi quel che costi, persino un referendum: anche la Germania, con Hitler, cambiò parere sugli ebrei, prima no, la pensava diversamente. Questo per aggiungere che quelli del “no” mettono in azione nelle tivù dei formidabili polemisti politici come Marco Travaglio o comici come Maurizio Crozza e lo stesso Renato Brunetta col suo sale e pepe antirenziano twittato notte e dì. Loro, l’arma letale, la sanno usare, eccome.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:03