Assolti in massa! Di chi la colpa?

Si fa presto a dire “È colpa dei giudici!” o “È colpa dei politici corrotti!”. No, anzi, “È colpa del circo mediatico giudiziario” (sul quale scrisse il primo libro nei terribili anni Novanta il nostro direttore). Troppo facile e troppo comodo, e forse anche inutile, trattare delle decine e decine di politici assolti, dopo i lunghi, lunghissimi chilometri di calvario degli avvisi di garanzia, liquidando la questione con colpe distribuite di qua e di là. Intendiamoci, sono tutti responsabili, chi più chi meno, quelli citati poco sopra e di certo la magistratura, in ispecie l’accusa, ne ha fatte di cotte e di crude se pensiamo a Ignazio Marino, a Roberto Cota, a Vasco Errani, a Vincenzo De Luca e persino a Gianni Alemanno; e ce ne sono tanti, troppo altri, vistisi decapitati nelle carriere sulle quali la vergogna della gogna per un’inchiesta è stata pervicacemente e insistentemente addensata da giornali e televisioni, il famoso circo mediatico.

Ma il problema non va visto dalla sua coda, ma dalla sua testa, ovviamente non per mettere nello stesso calderone i politici colpevoli e quelli innocenti, i bravi e i cattivi, il bene e il male. Ma, semmai, per tentare un’analisi meno paranoica e più equilibrata, per stabilire se non una graduatoria, almeno una scaletta ragionata.

Il tema vero - la “testa” - è quello dell’uso politico della giustizia e il sottotema riguarda il ruolo della politica non soltanto rispetto alla magistratura ma allo stesso Paese, e comunque ai propri rispettivi elettori; e l’intreccio delle due questioni produce i risultati che abbiamo visto, almeno dallo scoppio di Tangentopoli, oltre quindici anni fa. Ebbene, in questo lungo lasso di tempo che cosa hanno fatto i politici, i governi (di un segno o dell’altro), le promesse di riforme della giustizia e le stesse “riformette” di Renzi-Orlando, e che effetti hanno prodotto sul sistema, quali i risultati raggiunti? Chiedetelo a Marino ed a Cota, direbbe qualcuno, e non a torto. Noi lo chiediamo, tanto per non fare nomi, al ministro della Giustizia Andrea Orlando; sì proprio a lui che l’altro giorno ha dichiarato testualmente e ipocritamente: “La giustizia spesso è usata nella battaglia politica”. Bella scoperta, soprattutto sia dal ministro del settore, sia da un membro di quel partito postcomunista che ha sperimentato su larga scala e sui politici degli anni Novanta, da Bettino Craxi a Giulio Andreotti a Silvio Berlusconi, l’uso della giustizia per eliminare i nemici politici democratici che non sarebbero mai stati sconfitti politicamente (elettoralmente) da un partito che aveva cambiato il nome comunista non prima, ma dopo il crollo di quel comunismo nella vergogna e nella condanna universale dopo averlo, prima, omaggiato e obbedito.

“Vai avanti Di Pietro!” lo gridava Gianfranco Funari, ma dietro c’era la grancassa della macchina potente dell’ex comunismo che, non va mai dimenticato, aveva nel suo Dna la regola principe del leninismo: l’importante è distruggere i nemici di classe non importa con quali mezzi. Noi sappiamo quali furono allora, ai tempi di Stalin, ma sappiamo e conosciamo anche il mezzo principale di oggi per distruggere quelli della Prima Repubblica, l’uso politico della giustizia, arte nella quale, diciamocelo, sono stati, e in parte lo sono ancora, insuperabili. Intendiamoci, ai campioni di giustizialismo come loro se ne aggiunsero di quelli dell’altra sponda - della destra e della Lega - cosicché il rosso si fondeva spesso col nero (ma non come nelle maglie del Milan perché si vedeva pure il verde sebbene non delle mutande) nel tirare monetine davanti al Raphael e nell’usare sempre, dico sempre, le accuse delle procure o del pool per distruggere il nemico. Certo: i mass media ci hanno dato dentro, i Pm pure e non pochi politici erano colpevoli: ma non tutti, come invece si urlava nelle piazze e in televisione. Il “tutti a casa” ha funzionato. Salvo, nel tempo, rovesciarsi come un guanto e continuando a fare danni fino a oggi, col risultato che la politica non c’è più, latita, è assente e al suo posto trionfa l’antipolitica nel suo mix di giacobinismo selettivo e populismo d’accatto di cui il grillismo è vessillifero.

Rimedi: far ritornare la politica, rivendicarne il ruolo primario erga omnes, restaurarne la dignità e nobiltà. Non c’è altra strada. Il resto sono chiacchiere e promesse tipo il Ponte sullo Stretto, se non peggio.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:01