
Ne “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino troviamo una delle più felici battute forse perché invia il segnale, se non il segno, distintivo del film da Oscar: la nostalgia. Ed è quando un eccellente Carlo Verdone (purtroppo ridotto a poco più di un cameo), rivolto ai presenti festalioli senza arte né parte confessa: “Ma perché ce l’avete tutti con la nostalgia? È l’unico svago che ci è rimasto!”. Ammissione quanto mai malinconica perché il rimpianto del bel tempo che fu coincide spesso con l’antica e sempre presente voglia di vivere, che adesso declina inesorabile e triste. Vale nella vita come nello spettacolo, e nella stessa politica, quando c’è e anche quando non c’è come oggi la sua assenza pesa su tanti, soprattutto su quanti di quegli spettatori - oltre l’8 per cento, che non è poco - che ne attendevano un colpo di reni mediatico con Michele Santoro. In fondo in fondo, parafrasando Verdone, l’unico “svago” che rimane è per l’appunto quella speciale, ma pur fatale rimembranza. Fatale soprattutto per chi coltiva l’illusione di ritornare al mitico status quo ante senza fare i conti con il presente. Fatale anche e soprattutto per quei professionisti del mondo della televisione, del cinema e dello spettacolo, che rientrano dopo l’uscita di scena, magari attendendosi un applauso. Succede raramente, se si eccettua, ad esempio, un Pippo Baudo che si rinnova rimanendo sempre lo stesso, anche col doppio dell’età di un Premier che dovrebbe comunque ispirarsi a un simile modello, se ci riesce ma ne dubitiamo, se vuol durare.
La nostalgia, dunque. Sì, perché sotto il suo segno è riapparso in Rai Santoro del quale tutto si può dire fuorché non sia un professionista. Perciò appare singolare questa sua inequivocabile opzione, già fin dal titolo del programma “Italia”, esattamente come il dirigibile cui non toccò, per così dire, una fausta sorte. Ma passi il dirigibile di Umberto Nobile. A parte il fatto che parlare di ritorno in tv per Michele è fuorviante “anche perché Santoro è uno che ritorna sempre” (un felix Grasso dixit); non ci resta che guardare dentro questa “Italia” per rendersi subito conto che non soltanto la nostalgia provoca cattivi scherzi, ma anche “non cattivi” programmi. Che per il Santoro d’antan, sarebbero stati brutti, punto e basta. Non è per la logica un tantino abusata dell’eterno ritorno del sempre uguale, ma è proprio nella diseguaglianza fra il prima e il dopo, fra il cattivismo primordiale e un buonismo sui generis, quasi quasi renziano, di oggi che l’effetto nostalgia fa il suo scherzo più brutto: rendere sostanzialmente innocuo il giacobino rivoluzionario del bel tempo che fu.
A parte, beninteso una mazzata contro il Cavaliere, dal quale ottenne qualcosina per dir così palpabile, ma si sa, quando l’ideologia entra in campo ne esce automaticamente la ragione e, soprattutto, la gratitudine. Il resto segue la strada maestra, ahimè così frequentata, del risaputo, del déjà vu, della pistola puntata contro i ricchi vecchi e nuovi, contro le arroganze che la nuova ricchezza infligge ai più deboli, ecc. Col risultato - a parte la chiusura di un grandissimo Alex Zanardi - che al posto di una pistola ci ritroviamo un pistolotto. Intendiamoci, gli ospiti o gli approfonditori, sanno il loro mestiere, si capisce fin troppo. Ma siccome sappiamo da mo’ come la pensano e cosa diranno contro Silvio Berlusconi, a proposito dei social, a difesa della più bella Costituzione del mondo, contro Saverio Raimondo e, “last but not least”, contro Briatore che in un suo resort a Dubai non vuole gente filippina, parlare di già visto basta e avanza. Tanto più quando il diavolo-Briatore ci mette la coda, riuscendo quasi a fare della “narrazione” contro, un racconto pro. Come si dice: tanto va la gatta al lardo, che ci lascia lo zampino.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:59