La riforma formale e quella sostanziale

C’è la riforma costituzionale formale e c’è la riforma costituzionale sostanziale. Quella formale, come afferma giustamente e furbescamente Maria Elena Boschi, non modifica di un millimetro il ruolo ed i poteri del Presidente del Consiglio. Non lo pone al di sopra dei ministri, lo sottopone alla autorità del Presidente della Repubblica, non gli consente di sciogliere le Camere e lo espone a tutti i rischi connessi al sistema fondato sulla centralità del Parlamento.

La riforma costituzionale sostanziale, invece, quella che deriva dall’intreccio tra l’abolizione del bicameralismo perfetto e dalla legge elettorale con un fortissimo premio di maggioranza per la lista vincitrice al ballottaggio alla Camera, produce un risultato esattamente contrario a quello stabilito in termini formale. Trasforma il Presidente del Consiglio in un Premier che costringe il capo dello Stato a designarlo alla guida del Governo, lo mette in condizione di scegliere i ministri come meglio crede e, soprattutto, gli attribuisce il potere reale di sciogliere il Parlamento come e quando vuole.

In sostanza la riforma costituzionale formale conferma il sistema parlamentare, quella sostanziale crea di fatto, ma senza dichiararlo ufficialmente, il premierato. E lo fa assicurando, attraverso la marginalizzazione del Senato non eletto direttamente dal corpo elettorale ed il premio di maggioranza per la lista vincitrice alla Camera, il massimo del potere politico reale al leader del partito che è riuscito a prevalere al ballottaggio.

È fin troppo evidente, infatti, che all’indomani del risultato elettorale il capo dello Stato non possa far altro che incaricare di formare il governo a chi guida la maggioranza presente alla Camera, che il Presidente del Consiglio provvisto di una maggioranza estremamente ampia e contrastato da una minoranza ridotta abbia il potere di scegliere a proprio piacimento i ministri e possa pretendere, nell’eventualità lo giudichi opportuno, di imporre al Presidente della Repubblica lo scioglimento del Parlamento. La riforma costituzionale, dunque, provoca la nascita del Premierato.

Il ché, in linea di principio, non è un peccato o un pericolo per la democrazia ma la diventa sul terreno politico concreto se il potenziamento del potere esecutivo non viene bilanciato da contropoteri in grado di impedirne eventuali derive di stampo autoritario. La riforma Renzi-Boschi comporta questo pericolo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:07