I Radicali e il filo di (M)Arianna

Secondo le agenzie, adesso non è più il panda a rischio di estinzione. Lo è il gorilla. Meglio che niente, si fa per dire. Ma la notizia mi ha accompagnato lungo l’intervista, tempestiva e articolata “comme il faut”, del nostro Dimitri Buffa al radicale Maurizio Turco. Mi sono cioè accorto che il Partito Radicale, colpito al cuore dalla morte di Marco Pannella, con Emma Bonino altrove e l’interno partitico diviso, somiglia analogicamente al panda e non sembra più a rischio di estinguersi come i gorilla, i gorilla poi! Una buona notizia, non c’è che dire.

È pur vero che l’intervistatore era ed è più “ficcante” dell’intervistato costretto spesso a ghirigori replicativi a rischio di perdita del filo. Ma nella sostanza, ciò che emerge è che questo filo, quello politico - beninteso - è stato ripreso, afferrato. E fin dall’inizio di un Congresso che, svoltosi in un carcere, ha decisamente posto come target suo primario la questione della Giustizia, e non solo nella sua variante carceraria. Si notava un’impronta che appartiene in toto al Partito Radicale e, per essere più chiari, a Marco Pannella sulla cui onda lunga - come ha ricordato Turco - si è svolta l’assise. Non è che Marco sia tornato, non se ne è mai andato. Solo che il “suo” partito, ancora lui vivo, peraltro, aveva perso smalto, incisività, presenza e novità.

L’irruzione delle divaricazioni interne, non effimere per la maggior parte, hanno ulteriormente appannato l’azione di un partito che, comunque lo si giudichi, ha segnato in profondità interi capitoli della storia politica e civile d’Italia per una dote rara e preziosa: il coraggio. Quante volte ci siamo detti: “Ah, quanto ci manca Pannella!”, “Ah, quella Bonino, che fine ha fatto?”. D’altra parte, quando una come la Bonino, al di là della seria malattia affrontata e gestita, appunto, con coraggio, rimane più che alla finestra della Casa sul balcone di quella di fronte, non solo il suo mancato apporto di idee produce un vuoto difficile da colmare - è chiaro che stiamo parlando di un partito e di una sua struttura volutamente astratta se non immaginaria, fissati come siamo sull’inscindibilità del duo storico - ma ha rischiato di rendere non colmabile le divaricazioni interne. Che queste siano state riempite dal Congresso non pare così certo, ma sarebbe comunque interessante non tanto o soltanto che lo saranno, ma che si riflettesse, come mi capita a volte, su quanto ci è mancato Pannella sul tema di sempre e, parallelamente, quanto avrebbe potuto offrire alla nostra politica europea la Bonino rispetto ad una Federica Mogherini che nessuno sa chi sia, anche se poi, magari, qualche dossier lo segue, ma in silenzio e in segreto.

A questo punto, comunque, si pone il problema per dir così leniniano al Partito Radicale, sia a chi ha vinto sia a chi ha perso: che fare? Se alla domanda dell’utilità del Partito Radicale nel panorama politico italiano la risposta è stata ed è positiva da qualsiasi parte provenga, è del tutto evidente che adesso tocca proprio a loro completare questa risposta, con le idee e con l’azione. È come se la politica nel suo complesso sia stata in questi anni monca, avesse perso una sua gamba procedendo zoppicante laddove occorre, invece, camminare con slancio animato dal coraggio di cui sopra, a meno che non intervenga la manzoniana massima su Don Abbondio che uno, se il coraggio non ce l’ha, non se lo può dare.

Noi restiamo ottimisti sui radicali (ma non solo, si capisce) a cominciare dal supertema della giustizia giusta, solo tornando al quale sarà possibile se non battere, almeno porre un freno al mix di giustizialismo e populismo che ha reso spesso irrespirabile l’aria italica, grazie anche ad un coro mediatico non tanto o soltanto irrespirabile quanto, soprattutto irrefrenabile. Per ora? Mah… Il filo politico da riprendere è essenzialmente questo, un filo di Arianna che potrebbe essere offerto da quell’ex segretario Giovanni Negri, magari nella sua versione similare di Marianna, il logos, la cifra, il simbolo di una possibile ripartenza. Siccome l’ancor giovane Negri è stato capace di arricchire il suo bel curriculum politico con una variante imprenditoriale da non sottovalutare, restano tuttavia sul tavolo non tanto o soltanto gli obiettivi e i progetti generali, quanto, purtroppo, l’interna situazione dalle complesse e a volte incompatibili divaricazioni.

Ma l’aspetto che aggrava la situazione e pesa sui radicali di oggi, è la decisione di sospendere la vita interna del Partito fino al raggiungimento di tremila iscritti. E se arrivassero solo a 2.990? Si chiude e l’ultimo spegne la luce? Come si possa sospendere la vita interna di un partito, per di più radicale, senza ricorrere all’eutanasia - leggasi suicidio - è un tema che affidiamo ai maghi, ai veggenti. E infine e soprattutto, perché sospenderla? E proprio in un contesto nel quale non solo sono entrati in crisi i baldanzosi del V-Day - che ai radicali qualcosa hanno estorto restituendo incapacità e imbarazzi - e persino il rottamatore non è più quello di una volta. Peraltro, una new entry garantista come Stefano Parisi, che non pare alieno da antiche simpatie pannelliane, dovrebbe guardare con attenzione alle tante opportunità squisitamente politiche che un nuovo-antico Partito Radicale può offrirgli. A lui e al Paese. Purché si voglia seguire il filo di (M)Arianna.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:03