
Naturalmente si trattava di un primo incontro. Naturalmente si trattava di una pre-puntata. Naturalmente si trattava di un contatto preparatorio. Naturalmente... Il fatto è che la prima uscita milanese (cioè nazionale) di Stefano Parisi non poteva avere un target più semplice: rincuorare i suoi, annunciare ufficialmente la sua “Leopolda” di metà settembre, mettere in fila qualche problematica da sviluppare.
Però se il buongiorno si vede dal mattino - e chiediamo scusa per la banalità uscita dalla penna estiva - lo speech parisiano non ha offerto ciò che molti si aspettavano: le anticipazioni di novità. Anzi, qualcosa di nuovo l’ha pur detto avvisando che non vuole sbagliare cominciando dalla coalizione, con un segnale abbastanza chiaro alla Lega e dintorni. Ha anche aggiunto che vuol essere determinato e persino non graduale, con un chiaro doppio riferimento, al prima di Matteo Renzi di oggi. E che si terrà lontanissimo da qualsiasi ipotesi di “Scelta civica” di infausta memoria. Meglio che niente, si capisce. E poi, forse, dico forse, più di questa allure non poteva mostrare senza incappare nelle reprimende consuete, peraltro tutte interne al suo (attuale) giro politico. Ma non per paura, crediamo, ché, al contrario, la novità più vera di Parisi è di non avere temuto attacchi dagli interiora corporis non foss’altro perché ha sfidato un centrosinistra ambrosiano messo al meglio risultando, lui, la vera risorsa, a Milano e dunque in Italia, di un centrodestra conciato male e con un Cavaliere che lo sa perfettamente.
Il Cavaliere, appunto. La sensazione è che il suo appoggio a Parisi coniugato al lungo silenzio estivo non può che risultare benefico all’opera di rinnovamento avviata, tanto più che le avvisaglie per il Governo, col terremoto e i sui danni collaterali, non appaiono tanto brillanti. Tutto ciò pone Berlusconi, insieme alle complicazioni collegate al referendum e alla legge elettorale, in una posizione più centrale se non competitiva, persino con un Beppe Grillo che dal disastro della sua giunta romana non è e non sarà più quello di prima, anzi.
Eppure, se si vuole trovare il pelo nell’uovo, o se vogliamo uno stimolo, è proprio dall’esperimento grillino che si possono trarre delle ispirazioni. Grillo ha avuto il coraggio di fare un partito nuovo, copiando in questo il Cavaliere del 1994; ha cioè creato sulle macerie di una politica stremata dai suoi peccati più gravi un’entità in nome dell’antipolitica esattamente, o quasi, analoga alla Forza Italia di quegli anni post terremoti di “Mani pulite”. Curiosamente di terremoti stiamo parlando, sia pure al passato e di stampo squisitamente politico. Ma oggi e sempre più nei prossimi mesi anche l’antipolitica impersonata da Grillo, Casaleggio, Raggi, Di Maio, Di Battista, e chi più ne ha più ne metta, si trasformerà sostanzialmente, avrà sempre meno “anti” e sempre più “pro”, nel senso che persino il grillismo è costretto a fare i conti con la realtà e col suo governo, pur dimostrando con entrambi una forte incompatibilità, a Roma e dintorni.
Del resto, anche l’anti-partitocrazia sposata e inneggiata dal Cavaliere, si è trasformata ben presto in un partito, sia pure da molti definito di plastica. Il punto dunque è questo. È sempre questo: la politica, un partito per farla al meglio. Ebbene, Stefano Parisi - che rifugge nel suo intimo dall’essere un cooptato - ha detto e ridetto che non soltanto non vuole “fare” un partito ma di volere, semmai, riformattare il centrodestra. Ebbene, una domanda che ci e gli poniamo è se è un gioco di parole o, quanto meno, un escamotage per schivare le tantissime mine vaganti sul suo percorso. Oppure se ha voglia di oltrepassare il male della banalità antipolitica in nome di una autentica novità nel consunto panorama italico.
In realtà, mine o non mine, il problema di fondo per uno come Parisi è di stabilire punti fermi nel suo progetto. Innanzitutto che non si tratta di un esperimento movimentista ma di un fatto politico, di un progetto destinato a porsi come alternativa non a questo o a quello, ma alla mancanza di autentica progettualità politica che ha contaminato la destra e la sinistra. Ha ragione a riformulare con forza la sua concezione liberale, popolare, riformatrice. Ma alzi la mano nel Paese quel leader che non vuole questo. La discriminante fra annunci e realizzazioni sta nella consapevolezza di un leader che parolae volant, facta manent. E per realizzare i fatti, in politica, serve un partito. Serve per affrontare con determinazione le tre priorità: immigrazione, crisi europea e terrorismo, sullo sfondo di una congiuntura economica sfavorevole, con un Paese ansimante sebbene in attesa. En attendant Parisi. Non Godot, per carità.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:57