M5S e le ingenuità   della destra

Andando all’osso nell’analisi dell’esito dei ballottaggi di domenica scorsa, si scopre che M5S vince perché da una parte raccoglie il consenso di chi odia i partiti, responsabili delle distorsioni clientelari della politica, dall’altra si accredita al di sopra della contrapposizione tra destra e sinistra.

L’operazione è perfettamente riuscita, anche perché la classe dirigente dei partiti tradizionali non brilla di particolare luce (anche da parte di autorevoli dirigenti), mentre i sindaci Virginia Raggi e Chiara Appendino testimoniano, anche visivamente, la purezza delle loro origini, prestate, come sono, alla politica. Non c’è qui un cursus honorum partitico. Raggi e Appendino affiorano quasi dal nulla, emergono quasi dal niente, rafforzando così l’idea di novità che odora anche di “virgineità”. Vedremo. I partiti le aspettano al varco, pronti a sottolinearne l’inesperienza. La loro vita non sarà facile. I migliori auguri.

Beppe Grillo parla come se avesse già conquistato Palazzo Chigi. L’aereo ha preso quota, ha fatto sapere, come se le elezioni amministrative e le politiche fossero la stessa cosa. Ma, non è così. I giochi non sono ancora fatti soprattutto se Matteo Renzi capirà che l’Italia non ha solo bisogno di un leader ma anche di collegialità nell’esercizio dell’azione parlamentare e di governo.

È naturale riconoscere che, nelle elezioni amministrative, le ideologie c’entrino poco. Ma, quando ci si candida a governare l’Italia, si vedrà che la chiamata a raccolta di una “cittadinanza”, indifferenziata ed indistinta che da destra e da sinistra dovrebbe correre nella stessa direzione indicata da M5S, sarà più difficile. Qui le scelte propriamente politiche si scontreranno con una serie di storie, di appartenenze, di sensibilità che, in una società plurale, non appartengono alla “cittadinanza” in quanto tale ma si dispiegano e si stratificano sulle diverse “cittadinanze”, degli uomini e delle donne del nord e del sud, della destra e della sinistra, degli appartenenti alle vecchie e alle nuove generazioni.

La crisi delle ideologie ha rotto molte barriere che contrapponevano i tradizionali steccati. Ha agevolato l’espansione del consenso verso M5S, che rifiuta ogni caratterizzazione ideologica sui principi della cultura del Novecento. Anche le politiche di bilancio rigidamente restrittive dell’Unione europea hanno contribuito a livellare le identità della destra e della sinistra.

In questa lunga notte delle ideologie, anche il linguaggio minimale dell’autoriduzione degli stipendi dei parlamentari può campeggiare come una novità planetaria, capace di spostare milioni di voti. Ma, nell’ambito di una consultazione politica, dove si discute di scelte strategiche, necessariamente caratterizzate ideologicamente, è tutta un’altra storia. Qui non si potrà sospendere il giudizio e rinviare le scelte ai cittadini tramite il web. Qui si dovrà decidere su questioni complesse, ci sarà da scoprirsi, da scegliere con chi stare, dentro e fuori i confini nazionali. Allora i nodi verranno tutti al pettine. La contaminazione con le scelte di destra o di sinistra sarà inevitabile, anche se destra e sinistra nell’accezione culturale del Novecento non esistono più.

In questo senso la partita delle prossime elezioni politiche è ancora tutta da giocare. Qui gli elettori di centrodestra, attratti da simpatie grilline, si dovranno porre soprattutto a una domanda: qual è l’idea di società del Movimento 5 Stelle? Qual è la sua idea dei diritti? La domanda è importante perché dal tipo di risposte che si danno si ricava il tipo di società che M5S ha in mente. Del resto l’“onestà” da sola non può essere un elemento identitario, perché è semplicemente la precondizione del politico.

M5S si muove nell’ambito dei partiti e dei movimenti di sinistra che rincorrono la progressiva espansione dei diritti, inseguendo le nuove opportunità che la scienza offre, oppure ritiene che la scienza debba anche fare i conti con il comune senso dell’etica? Conta solo l’innovazione oppure l’innovazione va confrontata con la cultura e la tradizione?

Gli elettori di centrodestra, prima di esprimere simpatie, dovrebbero rispondere alle seguenti domande. Quale idea ha M5S dell’idea di nazione? Quale rapporto intravede M5S tra il web e le istituzioni statali? È condivisibile l’idea di sopprimere il principio del mandato imperativo? Quale modello famigliare propone M5S? Quali confini intravede per la fecondazione eterologa? Va estesa anche alle madri single, o ai padri single con la surroga della maternità? Quale idea ha dell’inizio e del fine vita? Che modello integrativo propone per gli immigrati? Nonostante il superamento delle vecchie categorie politiche, la risposta a queste domande non può essere elusa.

Montesquieu sosteneva che se i parlamentari fossero vincolati da mandati imperativi, si correrebbe il rischio che “la forza della nazione potrebbe essere arrestata da un capriccio”. Il combinato disposto dell’esaltazione del mito della democrazia diretta con il rifiuto del divieto del mandato imperativo, attesta una subdola concezione autoritaria del potere. Del resto, l’esaltazione della democrazia diretta e il ricorso alla consultazione permanente attraverso il web, sono semplicemente una falsificazione della democrazia.

Il rifiuto del divieto del mandato imperativo, in particolare, è indicativo di un modo distorto d’intendere la rappresentanza. Se ne capiscono le ragioni pratiche che spingono a rifiutarlo, di fronte al numero esorbitante di deputati e senatori che, in questa legislatura, hanno abbandonato il fronte di appartenenza per cercare riparo (e rielezione?) in altri gruppi parlamentari. Tuttavia, la riproposizione del mandato imperativo riporterebbe indietro le lancette del costituzionalismo di duecentocinquanta anni, cambiando i connotati stessi del Parlamento che, per noi, è invece il luogo dove la volontà generale del popolo si esprime (dovrebbe) in modo originale, mentre per M5S è semplicemente il luogo privilegiato dove i partiti fanno da megafono, ognuno per sé, degli orientamenti dei propri elettori. In questo modo, paradossalmente, il movimento di Grillo, mentre vuole apparire come antipartitocratico, finisce per caratterizzarsi come il partito che accentua di più il peso del partito e la subordinazione partitocratica.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:58