
Si dice che il troppo successo stroppia. E che i guai incominciano spesso dopo. L’Expo è stata un successo, indubitabilmente. Ma poi c’è stato e c’è il suo dopo. Con i suoi problemi aperti, le mancate scelte e, soprattutto, le dimenticanze. Cosicché anche l’Expo è diventata un’arma a doppio taglio.
Adesso c’è la storia della casa in Engadina, dimenticata nella dichiarazione o annuncio della candidatura a sindaco. Parliamo di Beppe Sala e di questa residenza in uno dei paesini più affascinanti della zona di St. Moritz che si chiama Pontresina. La casa non pensiamo sia un granché, per quanto nella Confederazione Elvetica. Siamo anche convinti che si tratti davvero di una pura e semplice dimenticanza, che non c’entra nulla coi sospetti di reato e relative denunce degli avversari politici. Ma si sa, è tempo di elezioni e, dunque, tempo di (auspicate) manette altrui.
Purtroppo questo è l’andazzo da troppi anni e ne prendiamo dolorosamente atto. Le vere dimenticanze che riguardano l’Expo sono ben altre. Fra cui la mancata presentazione dei conti, del cosiddetto bilancio, del dare e dell’avere della rassegna; conti rinviati di mese in mese, fino al dopo elezioni. Una dimenticanza? Forse, ma con un quid non convincente, sospeso, un non detto che lascia qualche ombra.
Diciamo però che non c’è bisogno di arrampicarsi sui vetri dei palazzi di giustizia, a rischio di cadere (effetto boomerang), per sviscerarle e usarle politicamente queste dimenticanze. C’è un modo diverso di fare battaglia politica ed il suo bello è di usarne gli strumenti del confronto. Il suo brutto è di sfruttarne gli impulsi giustizialisti. Così come c’è il bello e il brutto nella narrazione milanese, pardon mondiale, dell’Expo. C’è, c’è stato il suo grandioso successo che fa oggi da traino non soltanto alla candidatura a sindaco di Sala che la condusse con sagacia, ma anche di quella Milano che ha chiuso qualche ora fa la strepitosa “Settimana del mobile”, rappresentante qualcosa di più di un evento, peraltro consolidatosi negli anni, ma un sintomo evidente dei riflessi positivi lanciativi dall’Expo, nel trionfo della magia universale del “made in Italy”.
Il successo dell’Expo, evento voluto e ottenuto da Letizia Moratti e dal governo di allora e di oggi, compresa la scelta della direzione generale di Sala, si è giustamente riverberato su di lui come effetto-Expo, e non a caso indicato come candidato a sindaco soprattutto da Matteo Renzi, posto che il Cavaliere o non ci aveva pensato o ci è giunto in ritardo. Fino all’arrivo sulla scena di Stefano Parisi, la figura di Sala primeggiava sia nei sondaggi che soprattutto negli oggettivi consensi diffusi in città, grazie appunto al successo dell’Expo ma anche alla desertificazione di un centrodestra in crisi dopo la sconfitta della Moratti, di Formigoni e, infine, di Berlusconi.
Ma, come si dice, le cose cambiano. Nel senso che l’effetto-Expo si sta allontanando nel tempo per naturali ragioni, facendo emergere ciò che alcuni fin da allora segnalavano sostenendo che uno dei lasciti della rassegna universale, al di là del successo, era il dopo-Expo. Il tema del che fare, di come utilizzare l’enorme area e di cosa realizzarvi. La giunta uscente di Giuliano Pisapia non ha certamente brillato nelle indicazioni di ipotesi consistenti per il dopo-Esposizione. E fra parentesi aggiungiamo che è stata latitante anche nelle proposte per le aree, invero decisive, lasciate vuote dalle vecchie stazioni cittadine; un errore più che una dimenticanza. E pensare che non mancano alla città del mobile, della Triennale, della moda e del made in Italy, le istituzioni, le sedi, le menti e le fantasie progettuali. Bastava infatti stimolarle, anche tramite un concorso, magari sulla scia di un sondaggio nelle stesse scuole onde coinvolgere le menti e le fantasie più giovani e innocenti.
Adesso che siamo nel clou della campagna elettorale vengono fuori le proposte più varie, alcune anche fascinose, come quella avanzata da Stefano Zecchi, candidato con Parisi, che sognerebbe una ambrosiana Disneyland su quell’area. E quella di altri, di destra, centro o sinistra, che vi ipotizzano l’assemblaggio e relativa ottimizzazione delle sette od otto università milanesi che rappresentano una realtà umanistica, tecnica, scientifica di livello mondiale. Il fatto è che mettere insieme questo diversificato, sparpagliato e pure orgoglioso patrimonio non è facile; occorre un lavoro di lunga, troppo lunga lena.
Nel nostro piccolo vorremmo offrire un’idea diversa, ma sempre rispondente alle vocazioni e realtà milanesi. Il luogo dell’Expo è strategico, lo sappiamo. Ed è un luogo dove già esiste una vasta piattaforma tecnologica realizzatavi dall’Expo. E dunque, perché non collocarvi la sede, pardon le sedi di una sorta di “Città della televisione e del cinema”, mettendo a disposizione di Mediaset, Rai, tivù e radio private, le strutture, gli spazi, gli studios e le tecnologie indispensabili. Hollywood sui Navigli era un sogno già ai tempi di “Carosello” made in Milano. In parte realizzato (ma solo in piccola parte) nell’area dell’antica ex Manifattura Tabacchi, sede di Cineteca, Centro Sperimentale, ecc.. Ma non basta. Bisogna pensare in grande perché grande è il mondo dell’immagine, o dell’immaginario. Un sogno? Certo, ma Milano li ha quasi sempre realizzati. Milan l’è un gran Milan. O no?
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:58