
Io leggo sempre tutto d’un fiato il formidabile Mughini. Dire che il suo commento sul referendum - scritto per il non meno formidabile “Dagospia” - debba essere una obbligatoria meditazione per vincitori e vinti, è il minimo. Perché, come spesso capita in questa versione ulteriormente ammaccata della Seconda Repubblica, quella cioè arrivata e terminata con Silvio Berlusconi, non c’è più chi ha vinto e chi ha perso, ma hanno vinto tutti.
Ma la versione di Mughini è tanto più istruttiva quanto più induce ad una autocritica dell’autore proprio a proposito del referendum Segni, quando Bettino Craxi disse di andare al mare e non alle urne - Renzi l’ha copiato, diciamolo - e accadde il contrario. La leggendaria preferenza unica divenne tutta un’altra cosa, ovvero un “no” alla cappa della partitocrazia fatta indossare a Bettino da parte di un’impressionante grande maggioranza mediatica e politica. Il risultato tecnico restrinse peggiorativamente le libertà dell’elettore ma il lascito politico, oltre a quella craxiana, segnò l’inizio della fine della parabola della Prima Repubblica. Non dico che sul referendum delle trivelle si possano imbastire similitudini pedisseque, per quanto lo schieramento realizzatosi contro il non voto, copia elegante dell’andate al mare, sia stato di un’inopinata vastità, da Grillo a Salvini, dalla Meloni a Brunetta (ma non a Berlusconi), non dissimile da allora. A parte il fatto che quest’ultima prova referendaria era, sempre sulle orme di Mughini che rimpiange come noi l’epopea dei grandi referendum radicali, un chiamata alle urne sul nulla.
Il punto dunque riguarda l’esclamazione - vittoria! vittoria! - espressa qualche minuto dopo i risultati (70 a 30) dal presidente Emiliano, nervosamente eccitato dal confronto a ruota con un premier a sua volta nervosetto, anche se con le mani tese agli sconfitti. I quali continuano imperterriti a proclamarsi vincitori. Tant’è. Sembrerebbe tutto racchiuso in questa osservazione, invece occorre aggiungere qualche altra cosetta, qualche piccola riflessione. Se ammettiamo che per il gruppone poliedrico degli oppositori si trattava di un referendum “politico” col quale, in caso di loro vittoria, dare la spallata a Renzi, dobbiamo anche accettare l’opposto di questa tesi, e cioè che gli sconfitti dovrebbero trarre una conclusione politica. Perché un caso politico c’è, eccome. Non dico un’auto-spallata per i variegati leader anti-trivelle, ma per i promotori del referendum. Che erano e sono i Consigli regionali di quasi una decina di Regioni. Non oso aggiungere che i consiglieri regionali promotori della loro sconfitta ne debbano trarre conseguenze fatali, dimettendosi. Per carità. Ma almeno una dichiarazione che non si accodi al finto trionfalismo di cui sopra, una sommessa ammissione, se non sul loro comportamento, per lo meno su quello dei loro elettori che li hanno largamente disobbediti, non ci starebbe male. Sarebbe l’inversione di una tendenza, l’indicazione di una consapevolezza matura, di una presa d’atto basata sulla lealtà, dote peraltro rara nella politica odierna. Non riconoscere che la propria regione non li ha seguiti in un’avventura divenuta, giorno dopo giorno, cosa altra rispetto all’originale significa, anche e purtroppo, non riconoscere che questa sconfitta è la sconfitta di un regionalismo finito male, e contro cui Renzi ha lanciato strali acuminati. Così facendo hanno lavorato per lui, ancora una volta e scambiando lucciole per lanterne, solo che il popolo italiano (pugliese, veneto, campano, ecc.) non ci è stato a questo scambio.
Resta da aggiungere una nostra opinione a proposito dello sfogo renziano contro i talk-show, a suo dire colpevoli di aver condotto una campagna per dir così poco corretta perché mirata non precisamente al senso tecnico del referendum ma alla sua finalità politica allo scopo di sloggiarlo da Palazzo Chigi in caso di vittoria dei sì. Il fatto è che la presenza di Renzi in televisione è al limite della bulimia, benché ne sia un abilissimo utilizzatore. Eppure, proprio noi che non abbiamo mai risparmiato critiche a tanti talk che inondano le tivù, dobbiamo in un certo senso dare ragione a Chicco Mentana, che ha pizzicato il Presidente del Consiglio su questo argomento. Non tanto o non soltanto perché esclusivamente nei talk-show sul referendum si sono potuti esprimere consensi e, soprattutto, dissensi, quanto, soprattutto, perché sono state proprio quelle trasmissioni a rendere evidente l’inutilità della chiamata alle urne. Cui va aggiunta la montante disaffezione dalle urne degli elettori, specialmente nei referendum. Sono loro i veri vincitori.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:58