Politica, bugie e referendum

La tendenza di Renzi e Boschi ad infiocchettare la loro politica con leziose bugie dimostra che sono giovani ma già deteriorati. È un luogo comune che l’animale politico debba necessariamente edulcorare, camuffare, nascondere ciò che non può proprio magnificare e, per converso, che debba magnificare anche la più piccola realizzazione per accreditarsi come statista, sebbene delle minuzie. La tronfia albagia con cui ripetono fino alla nausea che il popolo li ha incaricati di “fare le riforme” sembra indicare che si sentano investiti di una missione, mentre, invece, nessuno li ha chiamati a tanto. E comunque la bontà della missione che pretendono di dover compiere è contraddetta da loro stessi.

Esempi: dichiararono al cospetto del Parlamento (davanti al quale un premier ed un ministro non possono essere né reticenti né incoerenti) che la riforma costituzionale serviva a velocizzare l’iter legislativo, a semplificare il funzionamento delle Camere, a risparmiare sulla spesa pubblica; e che avrebbero preteso il referendum perché il popolo deve pronunciarsi sulle modifiche costituzionali. Orbene, il referendum sulle revisioni costituzionali hanno diritto di chiederlo (articolo 138) un quinto dei membri di una Camera, cinquecentomila elettori, cinque Consigli regionali. Il Governo che c’entra? Niente. Ma i Dioscuri ministeriali, mentendo, se ne vantano pubblicamente, come se fosse merito loro la chiamata del popolo a pronunciarsi sul loro “disegno deformatore”. Che lo volessero o no, il referendum si sarebbe tenuto comunque perché gli avversari hanno i numeri per chiederlo e a tale scopo stanno raccogliendo le firme dentro e fuori del Parlamento. È davvero amaro constatare che quando Renzi e Boschi vanno in televisione e, con serafica sicumera, ribadiscono questa loro bugia, quasi nessuno degli intervistatori glielo fa notare senza inginocchiarsi.

E veniamo alla colossale bugia, anch’essa propalata nel silenzio quasi totale della stampa, della politica, e persino dei costituzionalisti. Il sistema italiano della produzione legislativa è il più efficiente al mondo per quantità, quasi quanto una fabbrica cinese di accendini, ma tra i peggiori per qualità normativa. Che motivo c’è di accelerare l’iter parlamentare se così com’è abbisogna invece di essere rallentato e frenato? Quando Renzi comparve all’orizzonte, dissi sùbito che mi ricordava in qualche modo i “futuristi”. Infatti mi dava l’impressione che per lui la velocità fosse più importante della direzione del cambiamento. L’impressione iniziale è diventata certezza. Concentrare di fatto la legiferazione nella sola Camera dei deputati sul presupposto che così si fa prima a sfornare le leggi, è più di una bugia che solo la malafede può far apparire una realtà a chi ignora la “verità effettuale”. Inoltre il funzionamento del bicameralismo, sebbene non più paritario, non viene semplificato ma piuttosto complicato dall’approssimativa delineazione delle nuove attribuzioni, aggravata dalla redazione degli articoli in italiano contorto che sarebbe bocciato alla scuola media. Anche qui, i Dioscuri hanno voluto non solo correre ma anche, correndo, imporre disposizioni sbagliate e pure sgrammaticate, difetti imperdonabili in una Costituzione.

Infine, il risparmio sulla spesa pubblica che il nuovo Senato comporterebbe perché senza indennità parlamentare. Se questo era davvero lo scopo, perché non sopprimerlo del tutto, come il Cnel? E perché concedere l’immunità a senatori che rappresentano non più la nazione, ma le entità territoriali?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:02