Sulla strada di Renzi<br/>spunta Emiliano

Il referendum contro la permanenza delle piattaforme petrolifere a largo delle nostre coste è fallito. Perché fosse valido bisognava raggiungere il quorum della metà più uno degli aventi diritto. Invece, la partecipazione si è fermata al 32 per cento, 31,18 per cento se si considera anche il voto degli italiani all’estero. Tradotto in cifre significa che si sono recati alle urne poco meno di 16 milioni di italiani. Per Matteo Renzi si è trattato di un pericolo scampato. Bisogna ammettere che la spallata che poteva provenirgli dal voto di domenica non ci sia stata. Ciò però non giustifica gli eccessi di trionfalismo a cui lui e i suoi di fedelissimi si sono abbandonati. Il fatto che un numero consistente di elettori, in una calda giornata primaverile, sia andato al seggio rappresenta un segnale che merita di essere approfondito.

In realtà, la soddisfazione manifestata del premier per il risultato nasconde una seria preoccupazione per ciò che si è effettivamente materializzato nelle urne. Fino all’altro ieri Renzi ha dominato la scena grazie alla sostanziale inconsistenza dei suoi interlocutori. A essere poco appetibili nell’offerta di un’alternativa di governo non sono stati soltanto i grillini e il centrodestra ma anche i possibili competitori interni del centrosinistra. Le figure dei Cuperlo e degli Speranza, a un certo punto, sono apparse quasi proiezioni caricaturali dell’immagine-tipo di un leader moderno e in grado di “leggere” i bisogni e le aspettative degli italiani.

Con la conclusione della battaglia referendaria, invece, l’opinione pubblica scopre l’esistenza di un contendente dalla pelle dura nella persona di Michele Emiliano. L’attuale governatore della Puglia, figura inconsueta di “Masaniello” in toga e maglietto, ha guidato quasi in solitario la scalcinata armata Brancaleone dei sostenitori del “Si” dopo che quasi tutti gli altri governatori delle regioni, in precedenza promotori della consultazione referendaria, l’avevano scaricato in corso d’opera. Sta di fatto che la foto ricordo di questa fase della politica immortali soltanto loro due: Matteo Renzi e Michele Emiliano, il vincitore e il vinto.

Tutti gli altri, sullo sfondo, appaiono come figure sbiadite di comprimari. Vale per i Cinque Stelle che pure si sono spesi per il “Sì” e per la sinistra radicale della quale, al momento, si fa fatica a individuare chi sia il leader. E, purtroppo, vale per il campo del centrodestra. Salvini, Berlusconi, Meloni, Fitto, in questo frangente non hanno toccato palla. Sarà allora Michele Emiliano l’anti-Renzi di domani nel centrosinistra? Presto per dirlo, ma i presupposti ci sono. A differenza di ciò che si è erroneamente ritenuto per molto tempo, soprattutto a destra, le leadership non si costruiscono a tavolino imponendole dall’alto agli elettori. Gli aspiranti leader devono potersi forgiare nel fuoco dello scontro politico più duro di modo che anche le apparenti sconfitte possano, alla lunga, trasformarsi in prodromi di insospettate ascese. La guerra a sinistra è aperta ed è solo all’inizio. Altre battaglie saranno combattute prima di giungere alle elezioni politiche nazionali che, con ogni probabilità, saranno anticipate alla primavera del prossimo anno. Nelle intenzioni di Renzi, infatti, si fa strada la tentazione di disfarsi in anticipo, rispetto alla scadenza naturale della legislatura nel 2018, dei residui della vecchia guardia del suo partito che prova ancora a mettergli il bastone tra le ruote. In questo scenario accelerato si comprende del perché oggi valga molto più la mossa di Emiliano di intestarsi la sconfitta referendaria di quella, opposta, di Renzi di mettere cappello sulla vittoria del non- voto. È, in fondo, un modo un po’ tortuoso con cui il “brigante“ del Tavoliere prepara l’imboscata politicamente mortale al “rottamatore” di Rignano.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 19:28