Il vero Partito della Nazione italiana

È lui o non è lui? Certo che è lui! Lui chi? Ma il Partito della Nazione. E tutti a guardare in una sola direzione, a sinistra virando al centro e un po’ anche a destra. Tutti a dire che sì è proprio lui, è Matteo Renzi l’artefice massimo del PdN. E gli altri, i suoi di minoranza nel Pd a strapparsi le vesti, a gridare allo scandalo: no, no e poi no! Col Partito della Nazione non ci sto! Renzi dovrà passare sul nostro cadavere se davvero vuole insistere su questo (nuovo) partito che sarebbe la negazione della nostra storia, delle radici, dell’identità di sinistra. Naturalmente il supposto artefice del supposto PdN fa finta di non capire e non risponde al telefono dei suoi e dei tanti analisti che si stanno scervellando su questo oggetto misterioso, il PdN appunto. Che è di là da venire, come si dice, ma sempre incombente e invadente nel cosiddetto dibattito pubblico. Oggetto misterioso questo partito? Un pio desiderio? Uno dei tanti escamotage politicanti per parlare d’altro? Per fare polemiche da salotto? Darsi addosso come in un bar (talk)? In realtà, cioè nella realtà, davanti a noi, questo oggetto non è affatto misterioso. C’è, è lì, proprio davanti ai nostri occhi. Come la leggendaria lettera nascosta che nessuno riusciva a scorgere perché era posta lì, in bella mostra, spaparanzata davanti, sul tavolo.

Il PdN non lo si vuole vedere perché si guarda da tutt’altra parte, lo si vorrebbe scovare nella dimensione della nouvelle gauche renziana, un mix di destra e sinistra in salsa berlusconiana balzando da un capo all’altro, con quella bulimia tipica dei decisionisti ultimi arrivati e perciò costretti a imporsi, a ordinare, a proclamare, a personalizzare. Certo che a lui, a Renzi, non dispiacerebbe indossare il vestito da festa della nazione, ovverosia il suddetto partito. Ma è arrivato tardi dal sarto. C’è già passato un altro, ora ben vestito, anche meglio di lui, e che fa il modello accattivante, con sorrisi smaglianti, con toni suadenti e denti bianchi. Avete capito di chi si tratta, vero? Sì, è Luigi Di Maio, è proprio lui, Di Maio del Movimento Cinque Stelle, attuale vicepresidente della Camera e intronizzato, in morte di Gianroberto Casaleggio, come nuovo leader “grillino”, almeno in assenza, che dovrebbe essere frequente, del legittimo co-fondatore e costruttore (in piazza e poi in Parlamento) del movimento. Chi l’avrebbe mai detto? Chi ci pensava a uno come Di Maio che, pure, era piombato a Montecitorio insieme con l’orda dei “vaffa” - la parola è indicatrice della vera ideologia fondante il M5S, vincente un paio d’anni fa, ora non si sa - con tanto di prove streaming per prendere per i fondelli, insieme ai boccaloni, il povero Bersani, e con tanto di apriscatole per squarciare la scatola di tonno dei politici ladroni, tutti!

Ed eccoti invece il modello tipo Armani aggirarsi per luoghi solenni, a intrattenere analisti stranieri, a controbilanciare con misurata eleganza la consueta canea del grillismo, dentro e fuori il Parlamento. Attenzione! Se si passerà dal grillismo al “dimaismo” non sarà soltanto per la comodità delle abbreviazioni analitico- mediatiche. Il passaggio, peraltro già in atto, è significativo di quel nuovo corso, di cui è simbolicamente aggraziante la candidata a sindaco di Roma, Virginia Raggi, con la sua postura televisiva à la page simil-Venier anni Novanta, espressione, appunto, del dimaismo, brutta parola che però indica un soggetto bello. E onesto, si capisce. Bello, onesto, ma poi? E qui finisce la discesa e comincia la salita che in politica significa, innanzitutto, guardare allo stato della cose di un personaggio, di un partito, di un movimento, sia pure nuovo come il M5S. Nell’arco di un paio d’anni non solo il M5S è stato capace di smentirsi su tutte le promesse fatte, dall’uno vale uno, alla democrazia diretta, al niente talk, solo blog, al potere assoluto del direttorio e vai con le espulsione a go-go tramite web ispirato al leninismo più settario intrecciato al giustizialismo più cupo. Ecco, non solo si sono smentiti clamorosamente, come capita a tutti in politica ma senza poi assumere pose moralistiche e forcaiole.

No, sono divenuti, mese dopo mese, decisione dopo decisione, alla Camera e al Senato, nei comuni e nel Paese, nei talk e nelle interviste televisive, un movimento che non si sa quale politica estera abbia, non si sa cosa pensi e cosa faccia, se andrà al potere, per l’immigrazione, cosa concretamente vorrebbe fare per aiutare il Pil, se vuole ancora uscire dall’Euro, se ha in mente un Paese che non sia il pianeta “Gaia”, e dunque un mondo immerso nella globalità e legato all’Occidente. E perciò bisognoso di energia, di industria, di crescita, di sviluppo. Ebbene, a sentirli, soprattutto a proposito del “referendum trivelle” la loro posizione, peraltro legittima, non sembra per dir così in linea con i fabbisogni reali dell’Italia col suo deficit energetico. Per quanto riguarda poi il debito pubblico, la non inedita proposta del reddito di cittadinanza o qualcosa del genere per i giovani, più che in direzione di un aiuto alla crescita sembra davvero incamminarsi nei sentieri dell’immortale assistenzialismo. Do you remember un modello partitico, peraltro assai diffuso, di Democrazia Cristiana? Si offendono se diciamo che subiscono un certo quale fascino, e non solo, di quell’immortale partito? E non era proprio la vecchia, cara, indimenticabile Democrazia Cristiana il Partito della Nazione italiana.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:59