Centrodestra:sindrome dell’asino di Buridano

È cominciato il conto alla rovescia per il “Trivelle-Day”: il giorno del giudizio referendario. Domenica si vota. E molto si attende di sapere da queste prime urne primaverili. Innanzitutto si vedrà se il quorum, decisivo per la validità dell’esito della consultazione, sarà raggiunto o meno. A cascata, seguiranno tutte le valutazioni del caso. Non è in gioco soltanto una questione di dettaglio sul futuro delle estrazioni petrolifere all’interno delle nostre acque territoriali. L’inchiesta della Procura di Potenza sta portando in superficie un problema di legalità che investe frontalmente la qualità dell’azione di governo, in particolare pone interrogativi sulle scelte strategiche che Matteo Renzi e i suoi hanno in animo di compiere a favore delle multinazionali del petrolio. Sebbene non lo si possa definire propriamente un referendum pro o contro di lui, come pure alcuni vorrebbero, tuttavia c’è qualcosa di più di poche concessioni petrolifere nel piatto di domenica prossima.

Certamente nel confronto sta pesando l’eccessiva arroganza con la quale il premier ha addizionato la contesa con le opposizioni. Ma il nodo centrale si focalizza sul ragionamento politico che sottende alla scelta renziana per l’astensione. Il presidente del Consiglio, scommettendo sulla disaffezione degli elettori per quesiti referendari a scarso impatto emotivo, punta a capitalizzarne la prevedibile defezione dalle urne. Il sillogismo renziano funziona così: gli italiani sono disinteressati a questo referendum, io sostengo che non sia opportuno recarsi a votare, ergo: gli italiani che il 17 aprile restano a casa stanno con me. Elementare, Watson! Ma questa logica potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio. L’elettore, in origine disorientato sull’utilità di questa specifica prova referendaria, potrebbe trovare una plausibile ragione di partecipazione nell’ideologizzazione del voto: se Renzi dice di non andare al seggio, io vado per manifestargli la mia contrarietà non già alla singola questione oggetto del referendum, ma per dire un secco no al complesso della sua visione del futuro del Paese.

Quindi, Renzi ha un problema. Potrebbe alla fine spuntarla con il mancato conseguimento del quorum, ma un elevato numero di partecipanti significherebbe comunque una sua personale sconfitta politica. Non è affatto indifferente se alle urne la prossima domenica si recasse il 40 per cento degli aventi diritto invece di un ben più magro 20 per cento pronosticato dagli ultimi sondaggi disponibili. Vorrebbe dire che una quota compresa tra i dieci e i venti milioni d’italiani si sono presi la briga di sfidarlo apertamente. Il che si trasformerebbe, l’indomani mattina, in un viatico per gli oppositori a cavalcare l’onda del dissenso fino alle imminenti elezioni amministrative. Allora come non vedere una diretta correlazione tra il risultato di domenica e quello del prossimo 5 giugno quando si sceglieranno i sindaci delle principali città?

Ma Renzi non è l’unico ad avere un problema in questo momento. Anche il centrodestra corre qualche rischio. I suoi leader si sono sentiti assai poco su questa vicenda, molto di più fa rumore la guerra intestina che ne sta mandando a carte quarantotto l’alleanza alle amministrative, almeno su Roma. Ora, se il fronte della partecipazione al referendum dovesse ottenere un importante risultato, chi se ne intesterebbe il merito? Continuando a prendere sottogamba l’appuntamento di domenica, il centrodestra rischia di regalare una possibile vittoria alle altre opposizioni, in particolare al movimento grillino che molto si sta spendendo in questa battaglia. Sorge il sospetto che la destra si sia un po’ troppo immedesimata nella parte dell’asino dell’apologo di Buridano. L’ingenuo quadrupede, posto davanti al dilemma verso quale greppia dirigersi per mangiare, non seppe decidere. Morale della favola: morì di fame.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:58